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Presso la Biblioteca Carlo Livi, si conserva una importante documentazione fotografica. L'archivio comprende alcuni album, diversi cartoni con ritratti e immagini del S. Lazzaro riuniti in cartelle, e molte fotografie componenti serie.

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L'ARCHIVIO FOTOGRAFICO DELL'ISTITUTO PSICHIATRICO S. LAZZARO

Non è intenzione ripercorrere la nascita e l'affermazione della fotografia; è noto che dopo il 1839, quando la fotografia uscì dalla sua fase iniziale, uno dei campi in cui meglio si applicò il nuovo mezzo espressivo fu quello della ritrattistica.
Intorno al 1860 sorsero a Reggio Emilia i primi studi fotografici, attrezzati per soddisfare ogni tipo di richiesta pubblica, in particolare fotografie effigianti persone di più o meno note famiglie reggiane. L'uso della fotografia all'interno dell'ospedale psichiatrico S. Lazzaro è un capitolo importante ed interessante nel contesto fotografico di Reggio Emilia. La fotografia fu introdotta dal Dottore Augusto Tamburini verso il 1878, in base ad esperienze compiute in altri ospedali psichiatrici, da Salerio nel manicomio maschile di Venezia e da Virgilio ad Aversa. Il fine era quello di fermare le espressioni dei malati colti nelle fasi della malattia, per consentire, attraverso la raccolta di fisionomie tipiche, di studiare da un punto di vista semiotico le malattie mentali.
Una importante testimonianza sull'introduzione della fotografia al S. Lazzaro fu dedicata da Arrigo Tamassia e pubblicata nella "Gazzetta del Frenocomio di Reggio Emilia"3, interessante perché l'autore si sofferma a descrivere e raccontare quali sono le reazioni dei malati nei confronti dello strumento che li fissa, ed è inoltre un importante documento perché si sottolineano gli utilizzi e i contributi del nuovo mezzo fotografico.
Nel primo momento nel laboratorio fotografico allestito all'interno dell'ospedale psichiatrico lavorarono persone non specializzate, artigiani della fotografia. Primo operatore di cui si hanno notizie è Emilio Poli: ispettore di guardaroba, si prestò ad eseguire anche lavori tecnici e a divenire fotografo, utilizzando una vecchia macchina e provvedendo da sé a tutte le fasi dello sviluppo.
Poli realizzò un interessante album conservato presso l'Archivio, datato 1892, nel quale sono molte le immagini a mezza o a figura intera, in particolare di donne, ritratte da sole o in compagnia in un cortile interno, in atteggiamenti di grande spontaneità, quasi non sapessero di essere osservate da un obiettivo.
Sempre di Poli è un altro album, tra i più antichi, con ritratti di volti o figure a mezzo busto di uomini e donne; le fotografie sono montate su cartoni tipo "carte de visite" .
Altre fotografie (albumine) sono montate su cartoni ingialliti, ognuno dei quali reca una sorta di "titolo", come: «Paralitici, pellagrosi, pazzi morali», oppure «Pazzie periodiche», «Lipemania e Stupore», «Deliri sistematizzati», «Imbecillità» e altri; sono ritratti di piccolo formato, suddivisi dunque a seconda dei problemi presentati dai vari degenti, secondo quel processo che ha portato non certo all'identificazione personale, ma che voleva dare identità alle deformazioni o alle espressioni delle malattie nosograficamente, secondo criteri pseudoscientifici. Le raccolte di fotografie dovevano servire al procedimento di identificazione del folle, da un lato attraverso l'archiviazione della sua immagine, dall'altro per la documentazione delle malattie mentali.
Nell'archivio sono conservate molte immagini di un altro fotografo, Maurizio Bergomi: un album con 67 fotografie, realizzato per l'Esposizione Universale di Parigi del 1900 e un altro composto da un centinaio di immagini, probabilmente presentato all’ Esposizione di Bruxelles del 1910: sono documentati, con attenzione compositiva al punto di vista dell'inquadratura e alle fonti di luce, i vari edifici in cui si articolava architettonicamente il San Lazzaro: i comparti uomini e donne, la direzione medica, i servizi come forno, macelleria, farmacia, il museo antropologico e psichiatrico, i laboratori di istologia, psicologia, i villini nel parco (villini Livi, villino svizzero, americano), anche il campo da tennis, probabilmente il primo a Reggio Emilia, certo per malati di classe (che soggiornavano al Casino Conolly).
Altro fotografo protagonista di quegli anni a Reggio Emilia, attivo presso il S. Lazzaro, è stato Mario Vaiani (1880-1943).
Vaiani eseguì anche servizi fotografici che lo portarono lontano dalla sala di posa, come appunto quelli per il S. Lazzaro, per il quale realizzò un reportage, nel dicembre del 1921, sulla Colonia-Scuola Antonio Marro. Si tratta della prima testimonianza visiva della Colonia-Scuola A. Marro, fondata nel giugno del 1921 e destinata all'assistenza, alle cure e all'istruzione dei bambini tra i 5 e i 15 anni di età, la prima scuola in Italia aperta in un Manicomio pubblico, istituita per accogliere i piccoli frenastenici emendabili.
Vaiani descrive, scattando immagini improntate al realismo (quasi si potrebbe supporre che il fotografo a volte se ne stesse in disparte ad osservare) la vita nell'istituto: i bambini intenti in attività pratiche, la ricreazione, la scuola di canto, nei vari laboratori, nel dormitorio.
Altro fotografo che ha qui operato è stato Badodi. Non si trovano molte notizie riguardanti il suo lavoro; al S. Lazzaro ha realizzato un album con immagini della Colonia-Scuola A. Marro, datato 1931 (nel primo decennio dalla fondazione), oltre ad alcune fotografie ancora di documentazione dei padiglioni dell'Istituto Psichiatrico.
Al San Lazzaro, dunque, sono stati presenti e hanno collaborato i maggiori fotografi reggi ani del periodo. Se nel primo momento, con l'inizio della diffusione del procedimento fotografico, furono operatori interni a ritrarre i degenti, in seguito si ricorse, invece, a professionisti della fotografia.
Dall'osservazione delle immagini risulta evidente uno stacco: se inizialmente erano i malati, i volti dei degenti i "protagonisti", o meglio, erano le diverse patologie che venivano come classificate attraverso le immagini, in seguito, con l'affermarsi dell'istituto e con la presenza sempre più assidua alle Esposizioni, l'attenzione viene rivolta, in particolar modo, alla documentazione architettonica.
L'archivio fotografico dell'Ospedale Psichiatrico San Lazzaro è dunque ricco e reca la memoria, attraverso queste raccolte di immagini, di una parte importante della propria storia.