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Origini sociali nella depressione della donna

Fava E., Lora A., Colombo G., Bottinelli S. (1989)

uno studio epidemiologico 

Gli Autori hanno replicato la ricerca condotta a Camberwell da Brown ed Harris sui fattori eziologici di tipo psicosociale nella depressione, utilizzandone la medesima metodologia in un campione di 120 donne residenti in un quartiere periferico di Milano. È stato confermato il ruolo eziologico dei fattori scatenanti (eventi gravi e difficoltà maggiori), caratterizzati dalla esperienza di perdita. La mancanza di una relazione valida con il partner agisce come fattore di vulnerabilità, aumentando il rischio di depressione: non è stato confermato il ruolo degli altri fattori di vulnerabilità descritti da Brown ed Harris. Questi risultati se da un lato confermano il modello proposto da Brown ed Harris, dall'altro evidenziano differenze legate anche al contesto socioculturale italiano. Gli Autori infine discutono le implicazioni teoriche presenti in tale tipo di ricerca, utili allo sviluppo di una teoria eziologica della depressione. SUMMARY The Authors replicated in Milano the Brown and Harris's research on the social originas of depression, using the same methods for the assessment of .life stress; It is confirmed that provoking agents, such severe events and major difficulties, usually involving loss experience, have adirect impact in causing depression. The role of provoking agents was found very similar to that which Brown and Harris originally described. Lack of an intimate relationship with the partner was found to act as vulnerability factor, increasing the risk of psychiatric disorder in face to provoking agents. These results provide general support for Brown and Harris's casual model.


Riv. Sper. Freniatr. - Vol. CXIII - 1989 - N. 4 • Pagg. 948-964

E. FAVA,  A. LORA

G. COLOMBO,  S. BOTTINELLI

Origini sociali nella depressione della donna

UNO STUDIO EPIDEMIOLOGICO

INTRODUZIONE

Una delle aree di maggiore interesse della epidemiologia psichiatrica è rappresentata dallo studio delle variabili psico-sociali in grado di influenzare l'esordio e/o il decorso dei disturbi psichiatrici.
A partire dagli anni '60 è stata posta particolare attenzione alla analisi del rapporto tra depressione ed eventi sfavorevoli, intesi come fattori scatenanti l'episodio depressivo (Lora et al., 1982).
Paykel nel 1969, superando difficoltà di tipo metodologico presenti nei lavori precedenti, rilevò che nei pazienti depressi gli avvenimenti sfavorevoli (ed in particolare quelli definiti « uscite», che comportavano l'allontanamento di una persona significativa dalla vita del soggetto) erano più frequenti rispetto al gruppo di controllo nei sei mesi precedenti l'esordio depressivo. Queste osservazioni furono poi confermate in studi successivi (Barret 1979; Paykel 1974; Paykel e Tanner 1976), che ne utilizzavano la medesima metodologia.

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Clinica Psichiatrica II dell'Istituto di Clinica psichiatrica - Università di Milano (Direttore: Prof. G. PENATI).

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Il lavoro di Brown ed Harris « Le origini sociali della depressione » (1978), svolto negli anni '70 a Camberwell, un sobborgo di Londra, ha influenzato in modo determinante il corso successivo delle ricerche sul rapporto tra life events e depressione.
Dal punto di vista metodologico il loro approccio è fortemente innovativo (Colombo et al. 1985): viene introdotto il concetto di evento indipendente, che si impone al soggetto al di fuori della sua possibilità di controllo. Vengono così esclusi dall'analisi gli eventi dipendenti dalla sintomatologia depressiva e viene superata, anche grazie ad una, precisa datazione dell'episodio depressivo, l'obiezione che siano sintomi ad influenzare e a causare gli eventi.
Viene poi utilizzata una metodologia nuova per la definizione della gravità degli eventi: la valutazione contestuale della minaccia.
Per stabilire la gravità dell'evento vengono considerati il contesto in cui esso si svolge e il back-ground biografico della donna.
Il punteggio di gravità dell'evento è valutato da un gruppo di quattro ratifica tori non a conoscenza della diagnosi e con l'ausilio di un manuale con esempi di riferimento.
Nella ricerca di Brown ed Harris non tutti gli eventi ma solo quelli definiti « gravi » svolgono un ruolo eziologico nella depressione: il 62% delle pazienti psichiatriche depresse ed il 65% dei casi di depressione rilevati nel territorio aveva subito uno o più eventi gravi nei nove mesi precedenti l'esordio depressivo, mentre solo il 19% delle donne non depresse aveva avuto esperienza di tali eventi.
Gli eventi gravi, nei 3/4 dei casi dipendenti e nel restante 1/4 probabilmente indipendenti, avevano svolto rapidamente la loro azione scatenando l'esordio della depressione entro nove settimane dalla loro comparsa. Gli eventi gravi erano caratterizzati dalla perdita di qualche fattore importante nella vita della donna, sia esso una persona, un oggetto o un ruolo.
Oltre gli eventi hanno importanza come fattori scatenanti anche le difficoltà a carattere durevole. Ma non tutte le difficoltà, solo quelle definite maggiori, portano alla depressione, anche se con un ruolo di minore importanza rispetto agli eventi: esse sono presenti nel 48% delle pazienti depresse e nel 17% delle donne non depresse.
Complessivamente a Camberwell questi fattori scatenanti (eventi gravi a difficoltà maggiori) precedono l'episodio depressivo nel 75% delle pazienti depresse in contatto con i servizi psichiatrici e nel 89% dei casi di depressione rilevati nel territorio, mentre sono presenti solo nel 30% delle donne non depresse.

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Ma al fine di spiegare perché non tutte le donne diventano depresse di fronte ai fattori scatenanti, Brown ed Harris introducono nel modello l'ipotesi che siano presenti alcuni fattori di vulnerabilità, che condizionano la valenza depressogena dei fattori scatenanti. 
Sono stati individuati quattro fattori di vulnerabilità: la mancanza di una relazione intima e confidenziale con il partner, la morte della madre sotto gli 11 anni, l'assenza di un lavoro fuori casa e la presenza di tre o più figli a casa sotto i 15 anni.
Questi fattori sono in grado di interagire tra di loro (ad esempio la presenza di un rapporto valido con il partner è fortemente protettiva, anche se sono in campo altri fattori di vulnerabilità) e, sommandosi, di aumentare il rischio di depressione, ma non possono provocare da soli la depressione senza l'ausilio dei fattori scatenanti.

Il modello di Brown ed Harris è stato più volte replicato, utilizzando la medesima metodologia, in contesti culturali diversi e possiamo osservare come il ruolo dei fattori scatenanti sia stato sostanzialmente confermato (Brown e Prudo 1981, Finlay Jones e Brown 1981, Vadher e Ndetei 1981, Campbell et al. 1983, Murphy 1982, Costello 1982, Brown et al, 1987, Bebbington et al., 1984, Bebbington et al. 1988). 
Differente è il discorso per quanto riguarda i fattori di vulnerabilità, dove si osserva una maggiore variabilità nella replicazione dei risultati di Camberwell.
Il ruolo dei tre o più figli a casa in età infantile ha ricevuto conferma in due studi (Brown e Prudo 1981, Campbell et al. 1983), ma non nella ricerca condotta a Islington (Brown e Bifulco 1985).
La mancanza di un lavoro fuori casa è stata rilevata come fattori di vulnerabilità solo in Campbell et al. (1983): è comunque da osservare come tale fattore fosse considerato « di secondo ordine » rispetto ad esempio all'intimità con il partner.
Più complesso è il discorso in relazione agli ultimi due fattori esaminati: la perdita della madre e la mancanza di una relazione valida con il partner.
La perdita della madre sotto i 17 anni (e non più sotto gli 11 come nello studio originale) è stata confermata in due studi (Harris et al. 1986, Bifulco et al. 1987), ha ricevuto conferma parziale in altri due (Tennant et al. 1981, Brown e Prudo 1981), mentre non è stata evidenziata come fattore di vulnerabilità in Birtchnell e Kennard (1981).
Particolarmente interessanti sono gli studi condotti a Islington (Bifulco et al. 1987) e a Walthamastow (Harris et el, 1986), in quanto suggeriscono che la perdita della madre in se stessa potrebbe essere solo un

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indicatore di un elemento di maggiore rilevanza ai fini dello sviluppo della depressione in età adulta, cioè la mancanza di valide cure sostitutive al bambino dopo la morte della madre. 
La mancanza di cure valide sembra essere un fattore di maggiore importanza dal punto di vista eziologico, in quanto correlato al rischio di depressione anche in donne che non hanno perso la madre.
Il ruolo protettivo di un legame intimo e confidenziale con il partner è stato estesamente confermato in sette studi (Brown e Prudo 1981, Campbell et al. 1983, Costello 1982, Brown et al. 1986, Martin 1986, Finlay Jones 1986, Parry e Shapiro 1986).
Scopo dell'attuale studio è replicare nel contesto socio-culturale italiano lo studio condotto da Brown ed Harris, utilizzando la medesima metodologia di analisi dei fattori scatenanti e di vulnerabilità.

METODO

Sono state complessivamente intervistate 180 donne in età tra i 18 ed i 64 anni residenti nella zona 19 di Milano (quartieri QT8, S. Siro e Gallaratese), sita nella periferia nord-ovest della città.
 Un primo gruppo è composto da 60 donne, che hanno avuto contatti con le strutture psichiatriche 1erritoriali (Centro Psico-sociale della zona 19) e di ricovero (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura Guardia II dell'Ospedale Policlinico), in un definito periodo di tempo (1 anno), per un quadro sintomatologico di tipo depressivo.
 Un secondo gruppo di 120 donne è stato estratto dai registri dell'Ufficio Anagrafe del Comune tra la popolazione femminile; residente, salvaguardando l'omogeneità rispetto al primo gruppo per le fasce di età, lo stato civile e la classe sociale. 
Tutte le donne sono state poi intervistate da psichiatri del Centro Psico-sociale, utilizzando ai fini diagnostici l'intervista clinica semistrutturata S.A.D.S. (Schedule for Affective Disorders and Schizophrenia) (Endicott e Spitzer 1978) e ratificandone poi i risultati secondo i Research Diagnostic Criteria (Spitzer et al. 1978).
Il sistema diagnostico SADS-R:DC è stato sviluppato per pazienti ospedalizzati ed è-stato successivamente applicato in ricerche tra la popolazione generale a New Haven (Weissmann et al. 1980) e a Edimburgo (Dean et al. 1983).
I Research Diagnostic Criteria hanno una soglia elevata per la definizione del caso, così da impedire I'inclusione di « normali » reazioni a circostanze stressanti.

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Sono state inoltre raccolte informazioni, oltre che sui dati socio-demografici di base delle donne, anche sulla loro rete relazionale e sul rapporto con il confidente.
In ultimo è stata somministrata la intervista semistrutturata LEDS (Life events and diffìculties schedule) di Brown ed Harris per la raccolta degli eventi e delle difficoltà.
La metodologia raccolta e ratificata degli eventi, delle difficoltà e dell'intimità della relazione con il partner è la medesima impiegata da Brown ed Harris: uno degli autori è stato addestrato all'uso di tale metodologia a Londra ed è stato presente alla ratifica di tutte le interviste.
Tutte le interviste sono state registrate su nastro e ratificate senza che il gruppo dei ratificatori fosse a conoscenza della diagnosi psichiatrica della donna.

Attraverso l'intervista diagnostica è stato registrato sia l'esordio dell'episodio depressivo, sia la durata e l'intensità dei sintomi presenti nei 12 mesi precedenti I'intervista.
Ad ogni donna attraverso la LEDS sono stati chiesti gli eventi e le difficoltà presenti nell'anno precedente l'intervista per le donne sane e nell'anno precedente l'esordio della sintomatologia per le depresse.

Delle 60 pazienti in rapporto con le strutture psichiatriche, 38 rientravano nei criteri RDC per il disturbo depressivo primario unipolare, maggiore o minore, e presentavano l'esordio dell'episodio nei 12 mesi precedenti l'intervista (sono state infatti escluse dall'analisi le donne che soffrivano di un disturbo depressivo cronico, definito come un disturbo il. cui esordio non era avvenuto negli ultimi 12 mesi).
Delle 120 donne intervistate tra la popolazione, 8 ricevettero la diagnosi di disturbo depressivo primario unipolare, 74 non presentavano disturbi psichiatrici, mentre le rimanenti 38 donne o avevano presentato un disturbo psichiatrico differente dalla depressione (in genere disturbi ansiosi) o soffrivano di disturbi depressivi cronici.

Pertanto il gruppo delle donne depresse comprende 46 casi, con diagnosi di episodio depressivo primario unipolare ad esordio recente: il 63% presenta un episodio maggiore o probabile maggiore, il 37% un episodio minore o probabile minore.
Il gruppo delle donne non depresse include invece 74 donne.

L'analisi statistica dei dati raccolti in tabelle 2 X 2 è stata svolta tramite test X2 con correzione di Yates.

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TABELLA 1

Percentuali e tassi per 100 donne di eventi gravi e non gravi nelle donne depresse e non depresse


RISULTATI

1) Fattori scatenanti

Se una particolare classe di eventi gioca un ruolo causale nella depressione, sarà più frequente in modo statisticamente significativo tra le donne depresse rispetto alle donne sane.

L'esordio dell'episodio depressivo è legato alla presenza di eventi gravi.
Questi eventi sono indipendenti o, possibilmente indipendenti, presentano una gravità contestuale marcata o moderata, centrata sul soggetto (da solo o insieme ad altri).
Il tasso di eventi gravi è sette volte più elevato nel gruppo delle donne depresse (Tab. 1) e, considerando i soggetti, possiamo osservare come l'87% delle donne depresse abbia almeno un evento grave nell'anno precedente l'episodio depressivo di fronte al 19% delle donne non depressive (X2 = 50.34, l df, P < 0.0001). Inoltre,a conferma del maggior impatto sulle donne depresse dei life stressor, il 46% di esse ha esperienza nell'anno di due o più eventi gravi contro solo il 20/0 delle donne sane. 
Gli eventi gravi portano rapidamente alla depressione, spesso entro 9 settimane dalla loro comparsa e nella maggioranza dei casi entro 27 settimane (Tab. 2).
È stato quindi considerato il significato degli eventi, sia esso di perdita piuttosto che di cambiamento. Come eventi caratterizzati dalla perdita sono stati considerati: 1) le separazioni, come la morte di un familiare o la rottura di un matrimonio o di un rapporto di convivenza;

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TABELLA 2

Percentuale di donne depresse con eventi gravi, a seconda del periodo in settimane in cui sono comparsi gli eventi gravi (per donne con più di un evento grave, viene considerato l'evento più vicino)


2) le rivelazioni spiacevoli su una persona emotivamente vicina, che costringe ad una drastica rivalutazione negativa della persona in questione e della relazione con lei, come ad esempio la scoperta da parte della donna di una relazione extraconiugale del marito; 3) una malattia grave che minaccia la vita di persone vicine; 4) una importante perdita materiale o una minaccia grave di tale tipo; 5) i cambiamenti forzati di domicilio, come in seguito ad uno sfratto; 6) crisi varie, che contengono elementi di perdita, quale la cassa integrazione sul lavoro.

Rispetto alla natura degli eventi implicati, predomina nella maggioranza dei casi l'esperienza minacciata o reale della perdita di una persona, di un ruolo o di un importante oggetto materiale: : quasi i 3/4 degli eventi gravi sono caratterizzati da una perdita evidente, mentre tra le non depresse tale percentuale è pari ad 1/3. Considerando le persone, 85% delle donne depresse con eventi gravi aveva avuto esperienza di almeno un evento grave caratterizzato dalla perdita (Tab. 3).
 Gli eventi gravi delle donne depresse non sembrano invece essere caratterizzati dall'esperienza di cambiamenti importanti nella routine giornaliera (solo il 34% degli eventi gravi era di tale tipo) o nei contatti interpersonali quotidiani (presente solo nel 16% degli eventi gravi).
Analizzando complessivamente i cambiamenti dei rapporti interpersonali e della routine -giornaliera, che hanno comportato rilevanti modificazioni nella vita della donna della durata superiore ai sei mesi si evidenzia come essi

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TABELLA 3 Esperienza di perdita ed eventi gravi

TABELLA 4 Numero, percentuale, tasso per 100 donne di difficoltà nelle donne depresse e non depresse

siano presenti in meno di un decimo (9%) degli eventi gravi occorsi alle depresse e come solo il 7% delle depresse con eventi gravi abbia sperimentato eventi caratterizzati da tale tipo di cambiamento. La conclusione da trarne è che è la perdita, piuttosto che il cambiamento, ad avere un significato ed un ruolo nella depressione.

Mentre non vi sono rilevanti differenze tra donne depresse e non depresse nel tasso di difficoltà minori, le difficoltà maggiori, caratterizzate da un alto punteggio . sulla scala della gravità, dalla durata di almeno due anni e dal fatto che non riguardano problemi di salute, sono quattro volte più frequenti tra le donne depresse (Tab.4).

Rispetto alla percentuale

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TABELLA 5

Numero e percentuale di donne depresse e non depresse a seconda della presenza di fattori scatenanti


di donne interessate da difficoltà maggiori, il 540/0 delle donne depresse ed il 150/0 delle donne non depresse sono coinvolte in difficoltà di tale tipo. Tale differenza statisticamente significativa (X2 = 19.21, l df, P < 0.001) depone per un ruolo eziologico di tali difficoltà nella depressione anche se di minore importanza rispetto agli eventi sfavorevoli.

Considerando l'effetto congiunto dei fattori scatenanti (eventi gravi e difficoltà maggiori) possiamo osservare come nove depresse su dieci siano soggette a tali fattori, mentre tra le non depresse solo due su dieci vivono una analoga esperienza (Tab. 5).
Tale differenza altamente significativa (X2 = 51.31, 1 df, p <: 0.0001) conferma il ruolo attribuito a questi fattori nell'origine dell'esordio depressivo.

Rispetto alle caratteristiche dell'episodio depressivo, non si osservano differenze significative nel ruolo dei fattori scatenanti negli episodi depressivi maggiori o minori secondo i Research Diagnostic Criteria: solo il 10% degli episodi maggiori ed il 12% dei minori non pare legato alla presenza nei 12 mesi precedenti di fattori scatenanti.

2) Fattori di vulnerabilità

L'analisi dei fattori di vulnerabilità è stata condotta separatamente per le pazienti, cioè le donne depresse in contatto con le strutture psichiatriche e per i casi di depressione evidenziati tra la popolazione generale. Infatti nella loro ricerca Brown ed Harris hanno osservato [956]








TABELLA 6
Percentuale di donne depresse rilevate nella popolazione generale e numero di donne depresse in contatto con i servizi psichiatrici (pazienti) a seconda della esperienza di fattori scatenanti e del tipo di relazione con il partner.

come esistano importanti fattori di selezione al trattamento psichiatrico, che influenzano la distribuzione dei fattori di vulnerabilità e che ne rendono meno evidente il ruolo tra le pazienti.
 Ad esempio osservarono tra le pazienti una minore percentuale di donne che hanno perso la madre in età infantile o che hanno tre o più figlia casa, rispetto alle percentuali osservate tra i casi di depressione della popolazione generale.

Se la donna mantiene con il partner una relazione intima e confidenziale, questa viene considerata nella analisi di Brown ed Harris come di tipo A.
Nella relazione di tipo A la donna menziona il partner come confidente e dalla intervista raccolta non emerge nulla che contraddica tale affermazione. Viceversa una relazione viene classificata come non A, quando emerge che la donna non ha un legame stretto con il partner e che la mancanza di tale legame confidenziale è chiaramente antecedente all'esordio dell'episodio depressivo.
Nella nostra analisi una relazione di tipo A funge da mediatore tra i fattori scatenanti e la depressione. 
Tra la popolazione generale (Tab. 6) solo il 15% delle donne che hanno una relazione di tipo A e sono soggette all'azione dei fattori scatenanti diventano depresse contro il 57% di coloro che hanno una relazione di tipo non A. Analogamente tra le pazienti depresse che hanno avuto esperienza nell'anno dei fattori scatenanti solo 4 su 38 (pari al 10.5%) hanno una relazione di tipo A con il partner, mentre la grande maggioranza (31 su 38, pari al 81.6%) vive una relazione di tipo non A.

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Analizzando gli altri fattori di vulnerabilità, non abbiamo evidenziato un ruolo in tal senso né per il lavoro fuori casa, né per la presenza di tre o più figlia casa sotto i 14 anni.
Analogamente a
Brown ed Harris abbiamo considerato come perdita della madre sia la morte della stessa che una separazione superiore ai 12 mesi; il ruolo di tale perdita sotto i 17 anni come fattore di vulnerabilità non ha ricevuto conferma.

DISCUSSIONE

Questo studio ha lo scopo di replicare la ricerca svolta da Brown ed Harris a Londra, utilizzandone la medesima metodologia in un contesto socio-culturale diverso. 
Vi sono tuttavia alcune differenze rispetto alla ricerca originale, dove grazie ad un campione più vasto di popolazione fu possibile anche ricavare informazioni sulla prevalenza della depressione tra la popolazione generale. Inoltre proprio per le ridotte dimensioni del campione di popolazione analizzato, le conclusioni relative ai fattori di vulnerabilità hanno un valore più limitato rispetto a quelle reative ai fattori scatenanti.
Un'altra differenza risiede nel sistema diagnostico utilizzato, la SADS-RDC al posto del PSE, accompagnato dai criteri dì ratifica sviluppati dal Bedford College.
Uno studio comparativo svolto ad Edimburgo (
Dean et al. 1983) tra i due sistemi diagnostici ha evidenziato come la loro soglia di gravità sia comparabile, sebbene identifichino i casi in modo differente.
Il nostro studio conferma la validità del modello eziologico sviluppata da Brown ed Harris, in particolare per quanto riguarda i fattori scatenanti ed il significato di perdita in questi implicato. Una recente revisione (Brown et al. 1987) di tutte le ricerche che hanno utilizzato la metodologia di Brown ed Harris ha evidenziato come una percentuale di donne depresse variabile tra il 62% ed il 94% (con una media del 83%)abbia esperienza di fattori scatenanti nel ,periodo precedente l'episodio depressivo.
I nostri dati rientrano in tale range e vanno ad integrarsi con quelli ricavati dalla ormai ricca letteratura sul rapporto tra life events e depressione, configurandosi come una conferma della rilevanza dei fattori psico-sociali nella eziologia della depressione.
Un altro risultato significativo è la conferma che non vi è correlazione tra la presenza/ assenza dei fattori scatenanti e i patterns sintomatologici: infatti non è stato possibile evidenziare alcuna differenza tra i disturbi

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depressivi maggiori e quelli minori rispetto alla presenza di life events.
 Questi dati concordano con le osservazioni di
Brown (1978) e di Bebbington (1988), dimostrano come anche nelle depressioni maggiori/endogene i fattori psicosociali rivestano una importanza eziologica.
Viene così a cadere una delle dicotomie nosografiche più consolidate, quella tra depressione endogena/psicotica/maggiore indipendente da fattori ambientali e depressione reattiva/nevrotica/minore legata alla presenza degli eventi sfavorevoli.

Per quanto riguarda i fattori di vulnerabilità, è confermato che la mancanza di una relazione intima e confidenziale con il partner svolge un ruolo significativo nell'esordio - dell'episodio depressivo.
L'estesa conferma che ha ricevuto questo fattore in sette studi, oltre il nostro, da un lato chiarisce il significato e la funzione del social support di fronte alle avversità della vita, dall'altro apre un importante capitolo nel trattamento dei disturbi depressivi, focalizzando l'attenzione del terapeuta sul legame di coppia.

Non è stato confermato il ruolo protettivo del lavoro fuori casa, né quello negativo della presenza di tre o più figli in età infantile.
Rispetto a quest'ultimo fattore si può osservare che se la mancanza di conferma può essere dovuta in parte al piccolo numero di donne in tale condizione presenti nel campione, non si evidenzia tuttavia alcun effetto di rischio per la presenza in generale di figli in età infantile senza attenzione al loro numero.
Questo è probabilmente da porre in relazione sia a differenze nella struttura della famiglia italiana rispetto a quella inglese, sia nella disponibilità nel quartiere di strutture pubbliche per la infanzia in grado di aiutare la donna nella gestione quotidiana dei figli.

Rispetto alla perdita della madre si può osservare come la non conferma di tale fattore di vulnerabilità possa essere posto in relazione alla ridotta consistenza numerica del campione, specialmente dopo l'esclusione dei casi cronici di depressione, che non vengono inclusi in uno studio sulla origine dei disturbi depressivi, ma tra i quali è alta la frequenza di donne che hanno subito la perdita della madre in età infantile (Brown e Prudo 1981).
Un altro elemento di spiegazione di tale differenza può risiedere nel differente background culturale italiano: è infatti possibile che alla perdita della madre nella nostra società segua una minore mancanza di cure sostitutive.
E la presenza di cure sostitutive sembra essere il fattore cruciale per lo sviluppo di depressione in età adulta, in misura anche maggiore rispetto alla stessa perdita.

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Possiamo quindi osservare come la ricerca condotta a Milano abbia sostanzialmente confermato il modello eziologico di Brown ed Harris. Riteniamo che tale modello, oltre ad avere un valore esplicativo, abbia anche un notevole valore euristico in quanto le differenze osservate, oltre a non invalidarne l'efficacia (infatti, lasciando a parte i limiti della nostra ricerca prima discussi, sarebbe ben strano che in società e culture differenti i fattori di vulnerabilità fossero identici), ci spingono a puntualizzare meglio nuovi obiettivi di ricerca.
L'evidenza di una significativa relazione tra accadimenti esterni, come eventi e difficoltà, e la comparsa di una sintomatologia depressiva, in un tempo relativamente breve e definito, è fonte di alcune considerazioni che riguardano da un lato l'influenza dei fattori sociali sui disordini affettivi e dall'altro la natura e le caratteristiche del processo depressivo, cioè l'eziopatogenesi della malattia depressiva.

La prima considerazione che possiamo fare riguarda il riconoscimento che non solo eventi e difficoltà, ma anche aspetti dei fattori di vulnerabilità e le determinanti della gravità contestuale sono elementi originariamente appartenenti al contesto ambientale e sociale del paziente.
 Anche non mettendo in discussione la qualità « scatenante) di questi fattori, definizione che comporta un ruolo subordinato in una gerarchia causale nel contesto peraltro discutibile di un modello epistemologico che preveda appunto l'esistenza di una gerarchia tra le cause di un fenomeno, l'importanza dei fattori sociali ed ambientali nella origine del disturbo depressivo non può essere sottovalutata.
Questa rilevanza può 'avere una valenza non solo teorica se è possibile evidenziare la non neutralità o ineluttabilità dei fatti sociali implicati negli eventi, nei fattori di vulnerabilità e nelle determinanti della gravità contestuale. Cioè se si evidenzia un loro definito collegamento a particolari assetti socioambientali rispetto ai quali sia possibile una progettualità a sfondo preventivo o terapeutico. 
D'altra parte considerare «a priori» gli eventi, le difficoltà e le altre determinanti come ineluttabili accadimenti del destino, presuppone una radicale e acritica scotomizzazione dei mutamenti socioambientali e del rapporto che lega ogni individuo al proprio ambiente.
Una seconda considerazione riguarda la necessità di un modello esplicativo di come un evento esterno possa provocare, anche in concomitanza con altri fattori, una reazione patologicamente depressiva.
Non è possibile, ci sembra, prescindere da urta teoria che specifichi come uno stimolo (percezione dell'evento e delle sue conseguenze) venga elaborato in modo da determinare la risposta depressiva.
 È necessario prendere invece

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atto della limitatezza esplicativa, rispetto a questo punto, di quelle ipotesi che tendono a spiegare la patologia depressiva nei termini di una semplice relazione lineare con alterazioni di ordine biochimico.
Ne consegue la necessità della ricerca di spiegazioni più inclusive che integrino gli aspetti funzionali della mente (per esempio apprendimento e modalità di funzionamento psichico), caratteristiche ambientali e fattori biologici in senso stretto.
In questo senso una teoria « psicologica » della depressione che si ponga a ponte tra questi diversi livelli della realtà mostra la sua radice biologica o per meglio dire, nel senso più attuale, etologica.

A nostro parere la impostazione teorica che ci appare più adeguata a svolgere questa funzione è quella che individua la esistenza di una serie di rappresentazioni mentali, quindi interne, degli oggetti e delle possibili relazioni fra gli oggetti, inclusiva della rappresentazione del soggetto stesso e delle sue caratteristiche.
 La esistenza di un mondo rappresentazionale è stata dimostrata sperimentalmente da
Piaget e dai suoi collaboratori ed è stata postulata, sulla base di esperienze cliniche, da Freud e dagli autori di ispirazione psicoanalitica (per esempio Sandler e Joffe).
 Le rappresentazioni psichiche non sono stabili, ma sono a loro volta oggetto di una certa attività mentale per cui possono modificarsi o combinarsi tra di loro in modo variabile in relazione alle precedenti esperienze e ai dati delle esperienze attuali.
Le rappresentazioni mentali sono connesse inoltre alla sfera affettiva e quindi cariche di valenze dolorose o piacevoli.
Nel nostro caso ci sembra che esista una corretta percezione, da parte delle donne depresse della esperienza di perdita e di spiacevolezza connessa con gli eventi e le difficoltà.
Se poniamo che 'questa percezione si fissi come rappresentazione o si costituisca come elemento perturbante di precedenti rappresentazioni, ciò determina la necessità di una riequilibrazione
nel sistema delle rappresentazioni, cioè, in termini cibernetici, della costituzione di un nuovo equilibrio dato l'inserimento di un nuovo elemento nel sistema.
In termini psicoanalitici potremmo parlare di induzione di una certa quantità di lavoro psichico funzionale alla elaborazione del dolore e della perdita.
Quindi l'esperienza ambientale esterna indipendentemente si traduce in una esperienza interna, mentale, collegata, oggetto a sua volta di processi dinamici di elaborazione.
Il significato della perdita o della minaccia legata all'evento può essere colto a questo punto solo nel contesto di un insieme di altre rappresentazioni mentali legate alle esperienze precedenti, agli schemi utilizzati per elaborare queste esperienze e infine alle rappresentazioni del proprio sé, del proprio valore e del proprio ruolo. Mentre nel mondo reale il significato e la gravità contestuale degli eventi si inferisce da una serie di parametri altrettanto reali,

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nel mondo rappresentazionale la gravità degli eventi è funzione di parametri interni, rappresentazionali ed individuali.
Se è vero che esiste, come ci sembra dimostrare la nostra ricerca, una correlazione tra la gravità reale e la gravità percepita, è anche vero che la presenza di fattori individuali può in parte spiegare la situazione di quei casi in cui all'evento grave non corrisponde la depressione e viceversa.

Quest'ultimo gruppo di pazienti pone comunque una serie di problemi quali la ricerca di ulteriori fattori scatenanti nella area socioambientale, forse di natura microtraumatica o la possibile esistenza di altri fattori di vulnerabilità o ancora l'esistenza di particolari assetti psicologici o psico-biologici di predisposizione alla depressione. La mancanza di una teoria di collegamento tra gli assetti biologici e psicologici, sufficientemente confermata da rilievi empirici e sofisticata, rende per ora oscuro 'questo aspetto del problema.
Pensiamo comunque che i nostri dati possano mettere in discussione l'idea che la direzionalità del processo depressivo proceda necessariamente dal versante biologico a quello psicologico.

RIASSUNTO

Gli Autori hanno replicato la ricerca condotta a Camberwell da Brown ed Harris sui fattori eziologici di tipo psicosociale nella depressione, utilizzandone la medesima metodologia in un campione di 120 donne residenti in un quartiere periferico di Milano. È stato confermato il ruolo eziologico dei fattori scatenanti (eventi gravi e difficoltà maggiori), caratterizzati dalla esperienza di perdita. La mancanza di una relazione valida con il partner agisce come fattore di vulnerabilità, aumentando il rischio di depressione: non è stato confermato il ruolo degli altri fattori di vulnerabilità descritti da Brown ed Harris. Questi risultati se da un lato confermano il modello proposto da Brown ed Harris, dall'altro evidenziano differenze legate anche al contesto socioculturale italiano. Gli Autori infine discutono le implicazioni teoriche presenti in tale tipo di ricerca, utili allo sviluppo di una teoria eziologica della depressione.

SUMMARY

The Authors replicated in Milano the Brown and Harris's research on the social originas of depression, using the same methods for the assessment of .life stress; It is confirmed that provoking agents, such severe events and major difficulties, usually involving loss experience, have a

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direct impact in causing depression. The role of provoking agents was found very similar to that which Brown and Harris originally described. Lack of an intimate relationship with the partner was found to act as vulnerability factor, increasing the risk of psychiatric disorder in face to provoking agents. These results provide general support for Brown and Harris's casual model.

BIBLIOGRAFIA

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Hanno collaborato a questa ricerca la Dott.sa Luisa Lomazzi, la Dott.sa Emanuela Peserico e la Dott.sa Tiziana Savini. Un particolare ringraziamento va alla Dott.sa Tirril Harris e al Prof. George Brown per il costante incoraggiamento e per le utili indicazioni forniteci in tutte le fasi della ricerca. Questa ricerca è stata finanziata dal Consiglio di Zona 19 del Comune di Milano.
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