Versione Italiana English Version

1875 - 2015 La Lunga Storia della Rivista

Editoriale di Luigi Tagliabue (2015)

2/2015 

I 140 anni della Rivista Sperimentale di Freniatria mi spingono, più che a ricordare i passi di questa lunga storia, già in passato periodicamente descritta1 e ripercorsa criticamente nel pregevole saggio di Valeria Babini pubblicato nel presente fascicolo, a dire dei nostri attuali intenti editoriali, delle nostre difficoltà e delle idee per il futuro. Cimentarsi oggi con l’impegno a pubblicare una rivista scientifica è cosa ardua.

Galleria Articolo


I 140 anni della Rivista Sperimentale di Freniatria mi spingono, più che a ricordare i passi di questa lunga storia, già in passato periodicamente descritta1 e ripercorsa criticamente nel pregevole saggio di Valeria Babini pubblicato nel presente fascicolo, a dire dei nostri attuali intenti editoriali, delle nostre difficoltà e delle idee per il futuro.

Cimentarsi oggi con l’impegno a pubblicare una rivista scientifica è cosa ardua.

La rivista mette in gioco, innanzitutto, la sua capacità di essere un sensibile strumento in grado di cogliere prematuramente i mutamenti di ordine culturale e sociale, le questioni che di volta in volta investono il campo psichiatrico, quelle conoscenze e quei modelli operativi in grado di migliorare le condizioni di salute mentale.

La rivista si misura poi, contestualmente, con i problemi strutturali della scrittura, particolarmente importanti nel nostro settore: se Carlo Livi, nel suo scritto di esordio della Rivista parlava della parola come “il migliore strumento dell’idea”, sempre più è maturata la consapevolezza dei limiti di “quelle riflessioni che, pur fondamentali ed esemplarmente trasmissibili con la scrittura, si attardano sui soli aspetti naturalistici ed oggettivi”2; lo scarto “fra le cose da dire e la possibilità ed il senso di narrarle” (Enrico Filippini); la ricerca di modalità di espressione in modi fruibili non solo da una ristretta cerchia di “esperti” della materia, ma anche da quel campo più vasto che oggi si allarga alle molteplici figure professionali ed ai cittadini coinvolti ed interessati alla salute mentale.

È evidente che queste difficoltà non condizionano da sole il destino di una rivista. Essa infatti si affida prioritariamente alla qualità editoriale: i suoi valori di riferimento, le sue linee di indirizzo, la capacità di intuire le aree di interesse della disciplina, il carattere di originalità dei contributi che propone, l’assunzione di rigorose metodologie di selezione degli stessi. E tuttavia una rivista vive e risente di un clima culturale che può dimostrarsi


1 Augusto Tamburini, I 35 anni della Rivista Sperimentale di Freniatria .Rivista Sperimentale di Freniatria 1910; Vol. 36: p.V. Eugenio Morselli, Come nacque la Rivista Sperimentale di Freniatria. Rivista Sperimentale di Freniatria 1915; Vol.41: p.XXXVI. Piero Benassi, Teresa Capaldo, Giuliano Turrini, 1875-1975: I cento anni della Rivista Sperimentale di Freniatria. Fascicolo celebrativo. Rivista Sperimentale di Freniatria 1975; Vol. 99: p.11.

2 Luciano Bonuzzi, Psichiatria e scrittura. In: Di Marco G, ed. I fattori di cambiamento. Chieti: Metis; 1990.



più o meno refrattario a concezioni ed idee da essa privilegiate, a maggior ragione nel campo psichiatrico. Già negli anni ’50 Gozzano scriveva che “l’orientamento biologico preponderante della Psichiatria Italiana non ha certamente incoraggiato l’interesse della maggioranza degli psichiatri verso lo studio psicologico del malato”3: al di là dell’attualità di tale affermazione, oggi potremmo parlare di approcci specialistici che ispirano, ognuno di loro, una pubblicistica specifica, prevalentemente “chiusa”. Tutto ciò in una fase storica in cui si assiste ad una contrazione delle riviste del settore, almeno in Italia (riduzione del loro numero, riduzione degli abbonamenti e vendite, spesso legati a processi di razionalizzazione delle spese di enti e biblioteche, ormai da tempo interconnessi); ciò a maggior ragione se si rinuncia, come nel nostro caso, ad automatiche sottoscrizioni, derivate dall’appartenenza ad associazioni, o a sponsorizzazioni che, nel campo della psichiatria, prevalentemente derivano dalle industrie farmaceutiche.

Un compito quindi complessivamente difficile quello di occuparsi di una rivista, cui la Redazione ha tentato di far fronte a partire da alcuni presupposti. Alcuni di noi, nel 2002, così delineavano le linee editoriali a cui ispirarsi.

“È necessario uno sforzo di riflessione per cogliere i mutamenti in atto che riguardano la psichiatria, superando le angustie di una logica strettamente disciplinare e naturalistica, evitando i pericoli dello specialismo e le derive riduzionistiche. Ciò comporta l’interazione della dimensione specifica della psichiatria con contributi e riflessioni che arricchiscano la possibilità di comprensione e la ricerca di senso delle opzioni e pratiche che esercitiamo ... la Rivista cercherà di garantire la comprensione dialettica dei vari contributi, con il riconoscimento e l’esplicitazione delle diversità e delle contraddizioni.

Ecco allora che il quadro psicopatologico, il tema diagnostico, le strategie terapeutiche, acquisiscono un diverso valore se connessi ad un’analisi delle mutazioni che investono il soggetto nella società attuale......Partendo quindi da aree che esplicano una funzione di fondazione e di acquisizione di senso rispetto al discorso che la psichiatria deve svolgere e che sono quelle dell’indagine filosofica, antropologica, sociologica, psicologica, fenomenologica, psicoanalitica, nonché dell’espressione della creatività umana, potremo cogliere, in una lettura trasversale, i fenomeni e le idee più specifiche del nostro campo ...”4.

In altri termini e per certi versi in continuità con una tradizione della Rivista, che aveva ospitato i più importanti studiosi italiani e stranieri, spesso espressione di radicalmente diversificate tendenze, da Golgi a Krafft-Ebing, da Lombroso a Kraepelin, da Weiss a Cerletti, da Callieri a Cargnello, da Basaglia a Borgna, per rimanere ai nomi più noti, abbiamo tentato una ricerca che, memore degli elementi costitutivi del fecondo periodo che precedette


3 Mario Gozzano, Psychiatrie in Italie. Enc. Med. Chir Psychiatrie 1955; 37000, 35. 4 Luigi Tagliabue, Editoriale. Rivista sperimentale di Freniatria 2002; Vol. 126: p. 5.


ed accompagnò l’impegno anti-istituzionale, consentisse un dialogo e confronto fra saperi contigui, accomunati dall’interesse per le persone, nella loro irriducibile singolarità, e per la società, con l’intento di contribuire alla ricerca del senso e del significato delle condizioni sia della sofferenza che del benessere psichici; lungi dal favorire una dimensione eclettica, abbiamo ricercato una lettura “ampia” in grado di fare i conti con le caratteristiche complesse, contraddittorie, a volte oscure, dei fenomeni di sofferenza psichica, allargando lo sguardo sulle relazioni che la sofferenza individuale intrattiene con il mondo.

Abbiamo così tentato di favorire con la Rivista un terreno di riflessione a più voci, scelte appositamente, attorno a temi specifici, optando per un carattere monografico dei singoli fascicoli, mantenendo tuttavia la vocazione originaria della Rivista ad accogliere anche contributi volontariamente inviati.

Se dovessi schematicamente richiamare ulteriori caratteristiche che hanno contraddistinto i nostri sforzi ricorderei: la scelta dei temi, che non hanno riguardato solo i tradizionali capitoli e gli attuali sviluppi della disciplina psichiatrica, ma anche territori di confine spesso trascurati o consegnati ad altre aree specialistiche (per tutti il tema della guerra e dei suoi effetti sul piano psicologico, il tema della nascita e del lutto); la volontà di rendere la Rivista uno strumento vivo non solo per la comunità degli operatori ma anche per tutti coloro che dimostrano interesse per la questione psichiatrica, impegnandoci attivamente ad alimentare, per ogni numero della Rivista, spazi pubblici di dialogo e riflessione sugli specifici temi affrontati; ad offrire, quando possibile, spazio a voci esterne all’ambito professionale, rappresentative di cittadini che hanno sperimentato forme di sofferenza, di familiari e di associazioni impegnate nel campo della salute mentale.

Il periodo trascorso ci consente un primo, pur limitato, bilancio di questi ultimi anni della Rivista, che presenta aspetti sia positivi che problematici: l’obiettivo di una coerenza fra linea editoriale, scelta dei temi e svolgimento degli stessi, è stato in alcune circostanze difficoltoso, reso tale dalla ricerca e dalla disponibilità degli interlocutori preliminarmente individuati; nell’ambito delle scelte degli argomenti trattati nei tre numeri annuali si è tentato di raggiungere un sufficiente equilibrio fra i temi di psicopatologia, organizzazione e pratiche istituzionali, storia della psichiatria, nuovi fenomeni della sofferenza psichica, modelli innovativi per le politiche di salute mentale (per una lettura esauriente dei temi svolti e degli articoli pubblicati vedi il sito di FrancoAngeli editore)5; l’auspicato dibattito sui temi affrontati non è avvenuto sistematicamente; la diffusione della Rivista ha scontato una scarsa pubblicizzazione fra i potenziali fruitori. Al tempo stesso la Rivista


5 www.francoangeli.it.


ha raccolto apprezzamenti per la qualità di molti dei fascicoli, sia da parte di figure autorevoli che da parte dei nostri lettori; ha trovato il sostegno costante dell’Ausl di Reggio Emilia, che ha ereditato dal vecchio ospedale psichiatrico il titolo di proprietà; ha trovato una proficua collocazione all’interno del Centro di Documentazione di Storia della Psichiatria di Reggio Emilia, costruendo importanti sinergie con le istituzioni rappresentate; ha promosso una pagina web (www.rivistafreniatria.it), con lo scopo di mettere a disposizione di tutti, oltre che una puntuale informazione sui singoli fascicoli, le pubblicazioni più significative dell’ampio patrimonio storico accumulato nel corso degli anni6.

Permane la convinzione che tutto ciò non basti e che ulteriori sforzi debbano essere prodotti, indirizzati sia sul piano della qualità della Rivista che sul piano della sua accessibilità e diffusione, aspetti peraltro strettamente embricati.

In primo luogo, pur mantenendo il carattere monografico dei fascicoli, l’intenzione è quella di limitarne la dimensione, per ospitare un numero maggiore di articoli autonomamente inviati, con particolare predilezione per i temi che la nostra Rivista ha da sempre messo in primo piano (psicopatologia, ricerche e pratiche innovative dei servizi di salute mentale, storia della psichiatria); in secondo luogo operare per l’adeguamento dei caratteri di selezione degli articoli alle procedure standard internazionali, funzionale peraltro all’inclusione della Rivista nelle banche dati più accreditate; riprodurre in lingua originale almeno gli articoli in lingua inglese. Si tratta inoltre di portare a compimento la valorizzazione dell’esteso patrimonio storico della rivista attraverso la sua immissione sul sito da noi organizzato, e di proporre sistematicamente dibattiti pubblici sui temi e sui contenuti proposti dalla Rivista, tenendo fede all’originaria aspirazione che le parole scritte possano diventare non solo bagaglio di conoscenze per la cosiddetta comunità scientifica ma anche, e soprattutto, strumento per la crescita di una conoscenza e consapevolezza più diffusa sui temi della salute mentale.

Il nostro tentativo rimane, in fondo, quello di “orientare” l’intera collettività, così coinvolta nell’espressione di disagi e malattie, così determinante e decisiva per gli esiti delle forme di sofferenza, verso comportamenti e pratiche che mai dimenticano, in ogni loro forma di espressione, il valore ed il rispetto per ogni persona, salvaguardata paritariamente sul piano dei diritti e delle possibilità.

Il fascicolo presenta in apertura alcune riflessioni di Fausto Nicolini e Gaddo Maria Grassi, rispettivamente Direttore Generale e Direttore del DSM dell’Azienda Sanitaria di Reggio Emilia. Essi testimoniano l’interesse e la volontà a valorizzare la Rivista come strumento di riflessione e di stimolo per le pratiche di salute mentale. A tali considerazioni si affiancano quelle


6 Vedi Luisa Zannoni, La Rivista Sperimentale di Freniatria dal 1875 al Web 2.0. Rivista Sperimentale di Freniatria 2011; CXXXV, 2: 131-146.



di Piero Benassi, per moltissimi anni direttore della Rivista; prendendo spunto dall’anniversario della Rivista, egli delinea il lungo percorso della disciplina psichiatrica, di cui la Rivista è stata fedele testimone nelle varie fasi, delineando anche linee tematiche per il futuro che ci attende.

Valeria P. Babini tratta poi, in modo originale, del ruolo che la Rivista ha avuto, nel corso della sua storia, per la disciplina psichiatrica. L’analisi prende inizio dal 1875, rilevando lo stretto legame della Rivista con il manicomio S. Lazzaro, ove operarono figure fondamentali della psichiatria italiana dell’Ottocento e del primo Novecento. L’autrice mette in rilievo la funzione che la Rivista ebbe non solo sul piano conoscitivo ma anche sul piano della ricerca scientifica, almeno fino alla prima metà del secolo scorso per poi sottolineare come la vocazione originaria, quella di essere punto di orientamento per la formazione psichiatrica italiana, si sia nel tempo mantenuta.

L’articolo di Filippo M. Ferro ci introduce alla parte centrale del fascicolo che abbiamo voluto dedicare ad uno dei tratti che hanno caratterizzato la vita della Rivista, quello di aver dato rilevante spazio, fin dai suoi esordi, alla esposizione di casi clinici: innumerevoli gli esempi, alcuni di grande rilevanza, da Tanzi a Tamburini, a GE Morselli, a Disertori.

Il caso clinico rappresenta in fondo il tentativo di affrontare la sofferenza psichica non in termini astratti e generalizzanti, ma calata nella dimensione esistenziale della persona sofferente, mettendo in secondo piano categorizzazioni e privilegiando la singolarità delle sue modalità espressive. In altri termini, il caso clinico consente di avvicinarci maggiormente a quella intima e individuale declinazione della vita della persona, “agente insieme attivo e passivo entro un universo simbolico che lo costituisce, lo attraversa e insieme lo trascende”7.

Le narrazione di casi clinici non è certamente scevra di rischi: ogni forma di sapere, più o meno consapevolmente, adotta certezze, modelli interpretativi che possono ostacolare la possibilità dell’incontro con l’altro e di una sua autentica comprensione; non si vuole qui negare il valore orientativo di generalizzazioni, quanto piuttosto sottolineare la possibilità che esse semplifichino la irriducibile complessità dell’essere umano e si frappongano a processi di comprensione della sua irriducibile forma di sofferenza.

Si tratta, in altri termini, nella relazione ancor prima della narrazione, di assumere la responsabilità di rinunciare a verità definitive, di gestire il proprio “potere”, anche quello della parola scritta, in un rapporto dialettico con l’altro che superi la oggettualizzazione per lasciar spazio all’incontro fra soggetti; di attribuire alla parola del paziente pari dignità; di tentare nuove forme di narrazione8 ; di favorire i racconti autobiografici di chi ha sperimentato o vive forme di sofferenza psichica.


7 Sergio Moravia, L’enigma dell’esistenza. Milano: Feltrinelli; 1996.
8 Vedi ad esempio il lavoro pionieristico di Mary Barnes e Joseph Berke, Two accounts of a journey through madness. London: MacGibbon and Kee;1971.


Per tornare all’articolo di Filippo M. Ferro, l’Autore passa in rassegna i diversi periodi storici dall’Ottocento ad oggi, sottolineando come la narrazione dei casi, positivamente influenzata dalla cultura fenomenologica, sia evoluta verso forme che tendono a privilegiare una visione più complessiva della storia del paziente, dei suoi valori, non più “offuscati dalla difettualità”.

Gli articoli successivi, di Paolo Migone e di Paolo Vistoli ed Eleonora Montagner, affrontano, il primo il tema della compatibilità fra la cultura “accademica” e quella della pratica clinica corrente, il secondo il tema dei nodi metodologici della stesura di un caso clinico.

Gilberto Di Petta, Alfredo Civita, Salvatore F. Inglese e Maria Bologna espongono rispettivamente un caso clinico di “psicosi sintetica”, la rilettura critica di un noto caso di Heinz Kohut, ed infine il caso di Giuseppe Musolino, analizzato anche per gli aspetti di natura psichiatrico-forense, a ricordarci l’originaria vocazione della Rivista per gli aspetti medico-legali della psichiatria.

Barbara D’Avanzo affronta poi un argomento di grande attualità, la recovery, cogliendone gli aspetti qualificanti e le potenzialità per un miglioramento della qualità delle risposte dei Servizi pubblici.

A conclusione del fascicolo, uno stimolante articolo di Patricia Casey sul ruolo delle riviste scientifiche, sugli standard ottimali da adottare nella loro costruzione, capaci di elevarne la qualità. Un buon viatico per il futuro della Rivista Sperimentale di Freniatria.

Luigi Tagliabue




:: editoriale.pdf (pdf - 577 KB)