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Rischio

Editoriale di Gian Maria Galeazzi (2015)

3/2015 

Questo numero della Rivista Sperimentale di Freniatria ha come filo conduttore il tema del rischio. Tale scelta recepisce l’importanza che ha assunto il rischio come costrutto organizzatore della realta? culturale, sociale e politica – oltre al suo continuo ricorrere come cifra esistenziale ineludibile per ciascuno di noi. Secondariamente, riconosce che ci sono vari aspetti nella relazione tra operatori della salute mentale e utenti, in cui il tema rischio assume attualmente particolare salienza. Si pensi, per esempio, al dibattito aperto con la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, al portato in termini di scelte e possibilita? – ma anche di rischi – che questa transizione propone, al dibattuto tema della posizione di garanzia dello psichiatra, alle incertezze circa il rapporto rischi/benefici delle nostre terapie, al rischio di non farcela in un processo di guarigione e ai rischi che si devono comunque correre per guarire. E? apparso naturale applicare un approccio multidisciplinare a un concetto chiave tanto polisemico. Rischio, infatti, esprime sia la possibilita? di eventi avversi dipendenti da un corso d’azione sia il possibile prezzo da pagare, i valori da mobilitare per ottenere salti evolutivi. Di seguito un breve accenno ai contributi.

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Questo numero della Rivista Sperimentale di Freniatria ha come filo conduttore il tema del rischio.
Tale scelta recepisce l’importanza che ha assunto il rischio come costrutto organizzatore della realtà culturale, sociale e politica – oltre al suo continuo ricorrere come cifra esistenziale ineludibile per ciascuno di noi.
Secondariamente, riconosce che ci sono vari aspetti nella relazione tra operatori della salute mentale e utenti, in cui il tema rischio assume attualmente particolare salienza.
Si pensi, per esempio, al dibattito aperto con la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, al portato in termini di scelte e possibilità  - ma anche di rischi  - che questa transizione propone, al dibattuto tema della posizione di garanzia dello psichiatra, alle incertezze circa il rapporto rischi/benefici delle nostre terapie, al rischio di non farcela in un processo di guarigione e ai rischi che si devono comunque correre per guarire.
E' apparso naturale applicare un approccio multidisciplinare a un concetto chiave tanto polisemico.
Rischio, infatti, esprime sia la possibilità di eventi avversi dipendenti da un corso d’azione sia il possibile prezzo da pagare, i valori da mobilitare per ottenere salti evolutivi.
Di seguito un breve accenno ai contributi.
Andrea Tagliapietra propone felicemente una lettura filosofica, originale e profonda, della delimitazione del concetto di rischio a partire dalle diadi pericolo/rischio e rischio/sicurezza. Di fronte all’angoscia derivante dal moltiplicarsi del conoscibile, che diventa una fonte di alienazione, secondo l’Autore è possibile contrapporre i concetti di esperienza, di condivisione e di costruzione di senso, in uno scenario in cui la scienza reciti un ruolo decisivo come sapere della misura, che permetta di co-abitare questo mondo così complesso.
Tiziana Mancini approfondisce nella prospettiva sociologica il delicato processo di costruzione dell’identità adolescenziale.
Mette in luce le opportunità, oltre che i rischi, offerti dall’espansione della dimensione virtuale e della multiculturalità, fenomeni che possono costituire campi di sperimentazione altamente positivi e non solo scenari di alienazione, specie se questi processi sono accompagnati dalla valorizzazione del capitale sociale.
Cristiano Cupelli evidenzia, seguendo un rigoroso percorso giurisprudenziale che non perde di vista la specificità della psichiatria e dei suoi strumenti, come un’interpretazione massimalista della posizione di garanzia dello psichiatra sia paradossale, dacché ignora la sostanziale imprevedibilità degli esiti che si richiedono di prevenire.
Non solo, l’adesione acritica a linee guida e protocolli, proposti talvolta come ausili per raggiungere l’obiettivo, anziché facilitare il compito di tutela rischia di perturbare in maniera irreparabile proprio la relazione terapeutica individuale e personalissima da cui potrebbero invece originare obiettivi condivisi, capaci di ridurre effettivamente, per esempio, la probabilità di agiti autolesivi.
Sulla stessa lunghezza d’onda l’estensore del presente editoriale insieme a Valentina Moretti dedicano alcune riflessioni ai numerosi strumenti strutturati di valutazione del rischio clinico, che appaiono uno dei più evidenti e concreti risultati di un fenomeno di “colonizzazione del rischio” in psichiatria.
Ancora, aderire ciecamente a queste pratiche rischia di aumentare la distanza tra operatori e utenti anziché unirli in obiettivi coraggiosi di recovery che implicano la capacità di una presa di rischio terapeutico.
Anne Felton precisa proprio tale concetto. La presa di rischio terapeutico re-interpreta la responsabilità degli operatori a prendersi cura anche degli aspetti di vulnerabilità degli utenti, soggetti a subire in primo luogo e talvolta a commettere atti violenti, centrando il ruolo su obiettivi condivisi co-prodotti con l’utente.
Laura Fruggeri affronta in maniera concisa e incisiva un aspetto della relazione terapeutica che spesso gli operatori sembrano scotomizzare, quello degli effetti iatrogeni delle terapie. Il suo lavoro offre spunti di prevenzione nell’individuare situazioni in cui lo spazio della terapia diventa isomorfo ai contesti in cui origina il disagio dei pazienti.
Pietro Ragni e Roberto Grilli ci accompagnano con competenza nel complesso vocabolario della gestione del rischio clinico. Contrastando l’approccio della cultura del rischio con quello della cultura della sicurezza, propongono una integrazione che metta al centro il riconoscimento del paziente come soggetto morale, da coinvolgere pienamente nella co- costruzione dei percorsi di cura, un concetto su cui, come si vede, convergono diversi contributi di questo numero.
Ferdinando Pellegrino interpreta in una chiave moderna, quella del benessere organizzativo, il rischio sempre presente di burnout per gli operatori, illustrando proposte di intervento per prevenire e superare il disagio.
Massimo Clerici e Collaboratori ci ricordano una realtà difficile e spesso dimenticata, quella del carcere. Il tasso di suicidi nelle carceri è certamente un fondamentale indicatore di civiltà di una società e rincuora notare la dedizione di questo gruppo nel cercare di comprendere ed affrontare il problema, attivando un programma ad hoc nel carcere di Monza.
L’augurio di chi scrive è che i lavori che compongono questo fascicolo di Rivista contribuiscano a incoraggiarci a continuare a metterci in gioco nei nostri rispettivi ambiti di azione cogliendo sempre, insieme ai rischi, grandi possibilità.
Gian Maria Galeazzi



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