La Rivista Sperimentale di Freniatria affronta nel primo numero del 2017 il tema dell’integrazione. E' utile preliminarmente rammentare che il termine “integro” deriva da “in” e “tangere”, toccare. Per cui deriva “non tocco”, ovvero “cui nulla è stato tolto”, “cui nulla manca”. Pertanto il termine “integrazione” anche nella derivazione etimologica indica il “completamento di qualcosa attraverso l’aggiunta di ciò che è mancante” per raggiungere l’intero, il completo, il conforme a giustizia. Può essere usata in ambiti molto diversi tra di loro, ad es. in ambito economico, integrazione salariale, in ambito sociologico, integrazione razziale, l’integrazione in matematica, è invece l’operazione con cui si determina l’integrale di una funzione data. In tutti questi usi l’integrazione assume sempre il significato di raggiungere un’interezza, una completezza che al momento manca. L’integrazione è dunque un’aspirazione. Il termine integrazione è da tempo diventato di uso corrente nel campo della salute mentale: oltre che nella sfera dei processi intrapsichici ed interpersonali, nei rapporti fra i diversi servizi dei dipartimenti di salute mentale, nella costruzione di forme di cura, nei rapporti con utenti, familiari, servizi sociali e contesto comunitario. Permane tuttavia incertezza sul significato che di volta in volta viene attribuito al termine “integrazione”, che si rivela così come l’ennesima trappola linguistica che occulta una pluralità di atteggiamenti, oscillanti fra gli estremi di una superficiale adesione a principi che nulla modifcano in pratiche frammentate e autoreferenziali e di processi che, fondati sulla pari dignità di storie e culture diverse, tentano di costruire saperi e pratiche comuni. Da qui l’idea di dare spazio a riflessioni di ordine generale e a contributi con specifco riferimento alla salute mentale. (Continua nel PDF allegato)
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