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Introduzione alla riabilitazione sociale

Mark Spivak (1987)

teoria, tecnologia e metodi di intervento, 1987 

SUMMARY This article addresses itself to de development of the basic skills for a community-based treatment of chronic psychiatric patients, an issue of great importance in Italy today. In fact, the Mental Health Reform of 1978, prohibiting admissions to mental hospitals, accompanied by the release of many patients into the community, has increased the need for a systematic rehabilitation program to help them to function more successfully and effectively in the community. Traditional ways of conceptualizing the «chronic schizophrenic patient» are seen as ineffective because they tell little or nothing about the client's level of functioning; they do not provide relevant information about the reasons why he/she is in treatment; they provide little information about the goals of treatment or the ways to effectively encounter the client in a change situation. In this article the chronic mental patient is characterized as an individual with serious problems in living and as one who has had a long continuous history of personal and social failures. These characteristics are associated with conflict, stigmatization, isolation within the community, eventually removal from the community and incarceration in the mental hospital and, over time, gradual distancing and mutual withdrawal of the patient and those around him.

Riv. Sperim. Freniatria - Vol. CXI -1987 - N. 3 - Pagg. 522-574 

MARK SPIVAK, PR. D. (*) 

Introduzione alla riabilitazione sociale :Teoria, tecnologia e metodi di intervento 

Traduzione e presentazione di Lorenzo Burti (**) 

(*) 4 Assa st., Jerusalem, Israel. 
(**) Istituto di Psichiatria dell'Università di Verona. 

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INTRODUZIONE ALLA RIABILITAZIONE SOCIALE 


PRESENTAZIONE 

Nel corso degli anni sessanta vennero effettuati numerosi studi (Goffman, 1961; Gruenberg, 1967; Zusman, 1966) sulle caratteristiche delle istituzioni psichiatriche e dei pazienti istituzionalizzati. Accanto all'interesse umanitario e scientifico, di ricerca sociale, vi era l'aspettativa di identificare modalità di trattamento più efficaci per riuscire a dimettere, e soprattutto mantenere all'esterno, i pazienti psichiatrici cronici. Ne emerse una prospettiva interazionale secondo la quale l'istituzionalizzazione cronica sarebbe il risultato di un'interazione fra caratteristiche del paziente da un lato e l'ambiente dell'ospedale tradizionale dall'altro. Analoghi  fattori interazionali risultavano importanti per la permanenza all'esterno dell'ospedale. 
Studi di follow-up (Paul, 1969) confermarono che i fattori determinanti, per la permanenza al di fuori dell'ospedale riguardano sia il comportamento del paziente stesso in aree importanti, che il disagio e preoccupazione che egli comporta per le persone intorno a lui. Qui i  fattori sarebbero:

1) capacità pratiche;

2) bizzarrie comportamentali;

3) capacità sociali;

4) supporto sociale nel territorio 

(Paul, 1969). L'approccio psico-sociale, basato su questi principi, si è mostrato efficace per sviluppare quelle capacità necessarie ai pazienti per riuscire a vivere nella comunità, come confermato da una serie di studi (Cumming & Cummig 1962; Ullmann & Krasner, 1975; Paul & Lentz, 1977) ed è ampiamente  usato a scopi riabilitativi in molti programmi di deistituzionalizzazione. 

Anche gli studi di follow-up più recenti e di più ampio respiro, come l'International Pilot Study of Schizophrenia 
(W.H.O., 1973; 1979) e il Collaborative Study dell'O.M.S. sui deficit funzionali e le disabilità nei  pazienti schizofrenici, hanno mostrato l'importanza, prognostica di fatti diversi dalla sintomatologia e indipendenti da essa come le caratteristiche dell'ambiente (fattori socio-culturali è disponibilità di servizi) da lato e i deficit comportamentali e le disabilità sociali dei pazienti dall'altra (Jablenski, 1984). Sono questi ultimi aspetti, comportamentali, funzionali,  deficitari, che costituiscono l'oggetto della riabilitazione psico-sociale. 

In un momento in cui, sia tra gli addetti ai lavori, che nel vasto pubblico, non manca la retorica riguardo la riabilitazione dei 
« pazienti psichiatrici cronici », è veramente illuminante e stimolante trovare un modello teorico e pratico integrato come quello presentato in questo articolo. Una delle difficoltà principali che si pone a chi opera nel campo della riabilitazione è quella di correlare sistematicamente la concettualizazione dei problemi del paziente con il processo di riabilitazione. 

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In questo articolo Mark Spivak, presenta una posizione teorica chiara che risulterà certamente utile agli operatori psichiatrici, al di là delle diversità di opinione sull'eziologia della malattia mentale. 

L'autore concentra infatti l'attenzione sulle conseguenze dell'allontanamento ripetuto e prolungato di alcuni individui dal normale rapporto sociale. Passa poi a sviluppare una definizione concisa della riabilitazione, intesa come processo per sviluppare quelle capacità sociali la cui mancanza mantiene il paziente in una posizione disfunzionale cronica nella società. È precisamente questo cambiamento di prospettiva dal « paziente cronico » agli « schemi cronici» di interazione fra il paziente e le altre persone significative che permette di instaurare programmi riabilitativi chiaramente delineati. Particolare importanza viene attribuita allo sviluppo di interazioni terapeutiche centrate attorno ad attività pratiche, e alla creazione di strutture fatte in modo da favorire il processo di socializzazione. 

Un aspetto innovativo presentato in questo articolo è la concettualizzazione di un procedimento diagnostico integrato basato sulle competenze sociali che bisogna sviluppare perché il paziente possa vivere con successo e soddisfazione nel suo spazio vitale, al di fuori dell'istituzione. Questo procedimento diagnostico viene poi tradotto coerentemente in attività terapeutiche di gruppo strutturate in modo da sviluppare quelle specifiche capcità sociali. 

A differenza di molti altri metodi questo modello sottolinea l'importanza delle relazioni personali tra i pazienti e gli operatori: un capitolo importante dell'articolo descrive le caratteristiche che il rapporto terapeutico deve avere per opporsi ai movimenti di allontanamento ed isolamento che sono così frequenti nei pazienti psichiatrici cronici. Vengono infine riportati parecchi esempi concreti di interventi basati su questi principi teorici, che possono risultare assai utili agli operatori interessati a mettere in pratica le idee generate da questo articolo. 

L'Autore: Mark Spivak ha un Ph.D. in psicologia sociale dell'University of Michigan (U.S.A.). Ha fondato, ed è stato per molti anni il direttore, del Centro di Riabilitazione per lo Sviluppo della Competenza Sociale « Moadon Shalom » di Gerusalemme, in Israele. Negli ultimi 15 anni ha dedicato parecchio tempo all'insegnamento, alla supervisione e all'assistenza per lo sviluppo di programmi di riabilitazione in diverse città in Italia, Stati Uniti, Canada ed Israele. 




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INDICE 

Introduzione 

Cap. 1. Modi di concettualizzare il paziente psichiatrico cronico. 

1.1. L'approccio tradizionale: l'uso di categorie (etichette) diagnostiche. 
1.2. L'approccio della Competenza Sociale: il comportamento del paziente visto come il risultato del processo di desocializzazione. 
1.2.1. I Percorsi dello sviluppo della Desocializzazione Cronica
1.2.2. Il processo della Spirale Viziosa verso la stabilizzazione cronica. 
1.2.3. Punti di intervento. 

Cap. 2. La determinazione degli obiettivi della riabilitazione.

2.1. L'Articolazione Sociale. 
2.2. Punti riguardanti la formulazione di Comportamenti Socialmente Competenti appropriati e adeguati. 
2.3. La Diagnosi degli Handicap di Competenza Sociale.
2.4. Struttura del programma. Lo sviluppo, di Attività di Gruppo di Competenza Sociale. 



Cap. 3. Le Dimensioni socio-interazionali della Risocializzazione e le Dimensioni strutturali dell'Organizzazione del Comportamento.

3.1. Le Dimensioni Socio-interazionali della Risocializzazione. 
3.2. Le Dimensioni Socio-strutturali dell'organizzazione del comportamento. 


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INTRODUZIONE 

La legge di riforma del 1978 ha stabilito che la riabilitazione, come la prevenzione e la cura, debba avvenire nel territorio; inoltre, chiudendo la possibilità di accesso a quell'area di deposito tradizionalmente costituita dal manicomio, ha praticamente imposto alla psichiatria di confrontarsi con il problema della cronicità « in tempo reale ». 
È diventata quindi impellente l'attuazione di politiche, strategie tecniche di intervento nuove, dirette ad aiutare in modo appropriato ed efficace i pazienti psichiatrici cronici. 
Vorrei qui sottolineare (e lo riprenderò più oltre) come queste problematiche, che si impongono all'attenzione sia degli amministratori che dei tecnici, non derivino da cambiamenti nella psicopatologia o nel comportamento degli utenti, ma siano invece la conseguenza di una evocazione sociale e legislativa che nulla ha a che fare con la « schizofrenici » (per citare « il » problema psichiatrico per eccellenza) dell’utente.
Se la schizofrenia esiste da tempo e non è mutata, invece qualcosa è cambiato nell'ambiente: atteggiamenti tradizionali di paternalistica insofferenza, se non di vero e proprio abbandono da parte degli operatori, non sono più accettabili oggi. D'altra parte, sul versante dell'utente, vecchi schemi di funzionamento, che potevano anche essere adeguati nell'ambiente ospedaliero, non sono certo adeguati per vivere nella società esterna. 
Accanto alle riforme sociali e legislative si è assistito, negli ultimi cenni, ad importanti progressi in psichiatria e psicologia, come l’introduzione dei farmaci psicotropi e lo sviluppo delle tecniche di intervento  psico-sociale. Questo duplice ordine di fattori, socio-legislativo da un lato e  tecnologico dall'altro, ha dato il via ad una promettente riformulazione dell'approccio terapeutico a pazienti psichiatrici una volta considerati « senza speranza ». 
Per lungo tempo l'internamento di un gran numero di persone negli ospedali psichiatrici è stato giustificato come l'unica forma di controllo possibile: esso veniva visto non solo come la soluzione estrema, o come  la conseguenza di forme di intervento inefficaci, ma come l'esito inevitabile per certi tipi di persone. È stato invece dimostrato ripetutamente che il comportamento del « paziente psichiatrico cronico» è influenzato dall'ambiente fisico e sociale almeno tanto quanto che da processi endogeni. 
È spesso difficile, se non addirittura impossibile, riconoscere in misura lo stato e il comportamento del paziente psichiatrico è il prodotto di un apprendimento disadattivo subìto in conseguenza del proprio comportamento

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incompetente nella comunità o dell'internamento in ospedale e quanto invece derivi da una particolare reazione individuale, un non meglio specificato disordine biochimico, indipendentemente dalle esperienze della vita di relazione. 
È di questi temi che il presente lavoro si occupa: in particolare però si propone di trattare estesamente dello sviluppo di abilità elementari per una riabilitazione, sul territorio, dei pazienti psichiatrici cronici. Nel lavoro verrà presentato un approccio alla concettualizzazione dell'utente cronico in termini di esperienze che ha subito e, da tale concettualizzazione, verrà dedotto un approccio metodologico e tecnologico sistematico per sviluppare interventi efficaci e riusciti. 



CAP. 1.     MODI DI CONCETTUALIZZARE IL « PAZIENTE PSICHIATRICO CRONICO 

1.1. L'approccio tradizionale: l'uso di categorie («etichette ») diagnostiche. 

Una delle maggiori difficoltà che si presenta agli operatori che lavorano  con persone etichettate, specialmente nei servizi socio-sanitari, l'erronea credenza che l'etichetta, spesso chiamata o comunque considerata come una 
« diagnosi », sia loro utile nel loro lavoro. Questa abitudine, che deriva dal modello medico, sviluppato per trattare i problemi fisici, è di scarso valore per capire gli utenti psichiatrici lungo assisti ed è spesso di utilità ancora minore quanto ad indicare interventi terapeutici.
Prima di tutto, il termine, o etichetta, « schizofrenia », per esempio di per sé fornisce scarsa informazione sull'efficienza sociale del paziente cui l'etichetta è apposta. È ben noto che individui con la diagnosi di schizofrenia cronica presentano una gamma molto ampia di comportamenti e di storie cliniche. Alcuni con questa diagnosi possono non essere mai stati ospedalizzati e possono ricoprire ruoli lavorativi di responsabilità abbastanza importante ed espletarli in modo tutto sommato accettabili.  Possono essere ben adattati in un ruolo adeguato e funzionale all’interno delle loro famiglie e nella comunità. D'altra parte, individui con la stessa diagnosi possono essere stati, o possono essere tuttora, in ospedale per lunghi periodi di tempo, emarginati dai ruoli funzionali relazionali con le proprie famiglie e con la comunità, ed esibire comportamento bizzarri grossolanamente disfunzionali. Così l'etichetta non descrive in alcun modo specifico l'efficienza sociale del paziente. 
In secondo luogo, l'etichetta, di per sé, non indica all'operatore ragioni possibili per cui quel paziente è stato portato alla sua attenzione.  Molto spesso il paziente ha sviluppato nel corso degli anni uno stile vita abbastanza stabile e gli eventi che hanno precipitato il suo arrivo all'attenzione di un servizio assistenziale derivano più dalla reazione dell’ambiente alla persona, che non dal suo « essere schizofrenico». La « schizofrenia » non si è sviluppata improvvisamente; nella maggior parte dei casi l'adattamento marginale del paziente è stato rotto da fattori con l'arrivo di nuovi vicini, che possono aver percepito il paziente come una minaccia ambientale; l’incapacità di quelli che si occupano di lui, 

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esempio i genitori, di continuare la loro vecchia funzione a causa di una malattia o dell'avanzare dell'età; il trasferimento in una abitazione più piccola o comunque diversa; il riemergere di sintomatologia manifesta, come rispondere a voce alta a voci e visioni che solo il paziente percepisce; incappare in guai con la giustizia; in generale, essere visto come un disturbo verso gli altri attorno a lui. Perciò l'etichetta non fornisce informazioni importanti sulle ragioni per cui il paziente è stato portato alla attenzione del servizio psichiatrico. 
In terzo luogo, l'etichetta diagnostica, di per sé, non fornisce alcuna informazione su quali dovrebbero essere gli obiettivi del trattamento. La etichetta non indica una sindrome di sintomi o comportamenti invariabili fra gli individui; non indica quali comportamenti dovrebbero essere sviluppati o quali dovrebbero essere eliminati; né indica l'enorme varietà di abilità o competenze sociali che dovrebbero essere sviluppate per aiutare il paziente a cavarsela più efficacemente nella vita. Non indica poi l'area di funzionamento: l'ospedale, oppure il luogo sul territorio in cui si spera che il paziente possa essere dimesso. Perciò l'etichetta diagnostica fornisce poche informazioni sugli obiettivi e sulla sede dei tentativi di trattamento. 
In quarto luogo, l'etichetta diagnostica non fornisce alcuna informazione sui modi per intervenire nello stile di vita del paziente così da operare dei cambiamenti. Non spiega né come il personale deve trattare il paziente a cavarsela più efficacemente nella vita. Non indica poi l'area setting terapeutico. Troppo spesso vengono impiegate modalità di trattamento importante da setting più tradizionali, e che sono aspecifiche e mal definite. Tragicamente, le potenzialità di riabilitazione di un paziente sono spesso definite in base alla sua risposta a queste modalità ambigue ed amorfe. Perciò l'etichetta diagnostica non fornisce all'operatore indicazioni specifiche sul come impegnare il paziente in interazioni efficaci per cambiare il suo comportamento. 

 

 

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Sommario
L'uso tradizionale di etichette diagnostiche è un metodo inefficace e vano per descrivere i pazienti di un programma che si proponga di operare dei cambiamenti nel comportamento. Dicono poco o nulla sul livello di efficienza sociale del paziente, sulle ragioni per cui è in trattamento, sugli obiettivi del trattamento e sui modi per incontrare efficacemente il paziente in una situazione di cambiamento. Per molti operatori che si trovano di fronte a pazienti verso i quali si sentono incapaci di riuscire a 

operare un cambiamento l'uso di una definizione diagnostica è un tentativo di creare la parvenza di comprendere. L'uso di una definizione implica specificità e comprensione anche se il fenomeno originario è ambiguo e comporta pessimismo e mancanza di speranza. Le definizioni, tradizionalmente, sono servite come giustificazione per non essere riusciti ad indurre un cambiamento nel paziente e per rinunciare a sforzarsi con nuove modalità terapeutiche quando le vecchie sono risultate inefficaci. 

 

1.2. L'approccio della competenza sociale: il comportamento del paziente visto come risultato del processo di desocializzazione. 

Nel caratterizzare quegli individui che hanno ricevuto l'etichetta di paziente psichiatrico cronico non è necessario ipotizzare alcun processo schizofrenico sottostante, sia che noi scegliamo il punto di vista psicodinamico oppure quello (oggi più di moda) biochimico. Nessuno dei due approcci può essere soddisfacentemente tradotto in termini terapeutici per la grande maggioranza dei pazienti serviti in ambito pubblico, né riesce ad evitare i trabocchetti sopradescritti. Invece, si propone qui di incominciare a considerare il paziente che si presenta a noi in base al suo comportamento in certi contesti. 

1.2.1. I Percorsi dello sviluppo della Desocializzazione Cronica. 

Con questi pazienti si possono affermare due cose, con un'alta probabilità che siano vere: 

1) tutti questi individui possono essere definiti come persone che, secondo le norme sociali correnti dell'ambito in cui vivono, hanno seri problemi nell'esistenza; 

2) la vita di tutti questi individui può essere descritta come una successione continua di fallimenti, personali e sociali, nel soddisfare le richieste e i bisogni propri e di coloro con cui interagiscono. 

Tali problemi nell'esistenza, e i relativi fallimenti, si accompagnano a conflitti, isolamento nell'ambito della collettività, allontanamento dalla collettività ed internamento nell'ospedale psichiatrico e, col passar del tempo, graduale allontanamento e ritiro reciproci da parte del paziente e di quelli attorno lui. 

Proviamo ad esaminare alcune delle conseguenze generali, e per il paziente e per quelli con cui è in contatto, di questa continua serie di fallimenti personali e sociali. La figura 1 indica i percorsi generali 

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attraverso i quali individui che hanno seri problemi nell'esistenza (cioè « sono molto incompetenti nel rispondere ai bisogni e alle richieste o alle esigenze proprie ed altrui) e quelli del loro ambiente, si allontanano reciprocamente. 
Questo processo si risolve in una progressiva desocializzazione attraverso l'allontanamento dell'individuo dal rapporto sociale e la conseguente diminuzione della sua articolazione sociale. A differenza di molte altre formulazioni la concettualizzazione presentata qui asserisce che questo è un processo reciproco fra il paziente e quelli intorno a lui, compreso il personale terapeutico. Le azioni dell'uno sono influenzate dinamicamente da quelle dell'altro. 
Così i nostri assunti generali sono: il paziente cronico è un individuo con seri problemi nell'esistenza, associati a gravi incompetenze personali e sociali e a lunghe storie di fallimenti personali e sociali. Da ciò postuliamo che i fallimenti da parte del paziente risultino in una concomitante frustrazione e disappunto da parte di quelli nel suo ambiente, che sono in relazione funzionale con lui (vedi freccia 1 nella figura 1).
 Questo assunto non ha bisogno di assunti ulteriori riguardo la natura del fallimento, come teorie biochimiche, ipotesi genetiche, o la creazione di  costrutti ipotetici come la schizofrenia in particolare, o la malattia mentale, in generale. Questo primo stadio, come i successivi di questo processo, ha a che fare con un fenomeno più generale e non è limita a casi speciali, come il ritardo mentale o le patologie psichiatriche. 
Ripetuti episodi della sindrome di fallimento-frustrazione-disapprovazione comportano spesso il rifiuto dell'individuo che fallisce, da parte di quelli intorno a lui. Questa reazione è di natura funzionale, la maggior parte delle volte non è motivata da cattiva intenzione, ma serve a facilitare proprio funzionamento. Nondimeno, in seguito al rifiuto degli altri, l’individuo si sente ferito e prova una sensazione di fallimento. La ferita deriva sia dalla pubblica definizione delle sue azioni, od omissioni, « fallimenti, che dal successivo rifiuto (vedi freccia 2 nella figura 1).
Una maniera comune di reagire a ripetute ferite, associate a ripetuti fallimenti e a ripetuti rifiuti, è quella di trovare le maniere per evitare le situazioni che feriscono ritirandosi dai compiti che hanno cagionato il fallimento e dall'interazione con le persone collegate con il rifiuto.
 Ciò è spesso ottenuto per mezzo del comportamento di isolamento dagli altri, o auto-isolamento, evitando la compagnia degli altri e l’esecuzione di compiti esposti al giudizio degli altri, o di se stesso. Perciò il fenomeno comune di un paziente che sembra non rispondere alle aspettative e alle 

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opinioni degli altri può ora essere interpretato come una reazione autodifensiva per evitare il fallimento e il rifiuto. 
In concomitanza al ritiro del paziente, le altre persone del suo ambiente incominciano ad isolarlo allontanandolo dalle situazioni in cui può fallire. 
La gamma delle manovre di isolamento è molto ampia, e va dal semplice allontanamento dell’individuo dai compiti elementari di tutti i giorni, come il partecipare alle faccende domestiche, tipo fare la spesa, al tenerlo lontano dalle funzioni familiari, al legittimare il ruolo deviante di essere disoccupato, all'esimerlo dal conformarsi agli standard normativi di comportamento etichettandolo come 
« infantile », « diverso », « malato » e relegandolo a ruoli ed ambienti fisici dove il comportamento deviante non disturberà seriamente gli altri, fino all’allontanamento finale dalla famiglia e dalla comunità e l'internamento nell'ospedale psichiatrico, le cui norme, valori ed aspettative sono molto difformi da quelli della società esterna. Questo comportamento di isolamento si risolve in una diminuzione dell'articolazione sociale per il graduale restringimento dell'ambiente fisico e sociale a disposizione del paziente 
(vedi freccia 3 della figura 1). 

Al processo di isolamento si accompagnano, da parte delle persone nell'ambiente del paziente, sentimenti di rabbia contro di lui, determinati dal suo venire meno ai ruoli previsti e, dal carico loro imposto dal doversi confrontare col comportamento deviante. Questa rabbia si accompagna spesso a sentimenti di colpa per aver mancato di soddisfare i bisogni del paziente, ad idee di aver concorso a causare i problemi e a sensi di colpa per la propria rabbia. Questi sensi di colpa da parte delle persone significative attorno al paziente si accompagnano spesso a rabbia e sensi di colpa provati dal paziente. La rabbia nasce spesso come reazione del paziente alle azioni di isolamento degli altri e alle restrizioni impostegli. I sensi di colpa spesso originano da sentimenti di inadeguatezza per  aver fallito nel prendersi cura delle persone amate, all'interno della famiglia, per essere venuto meno ai ruoli prescritti e per aver causato delusioni così evidenti. Questi sensi di colpa sono anche spesso esacerbati dal fatto che il paziente diventa il capro espiatorio e gli viene fatto avvertire che è responsabile delle disfunzioni della famiglia (vedi freccia 4 nella figura 1). 
Rabbia, collera e colpa spesso impongono alle persone carichi insostenibili. Un metodo comune per ridurre la colpa è quello di cercare delle spiegazioni dei fenomeni che neghino la responsabilità dell'individuo e che legittimino i tentativi dell'individuo di opporsi alla situazione colpevolizzante. Un metodo spesso usato con una certa efficacia è quello di dare 

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un nome al fenomeno. Questo nome viene poi reificato e si reagisce ad esso come se fosse il fenomeno stesso. Perciò un'etichetta diagnostica come la schizofrenia assolve ad una importante funzione: in una parola, un tipo di comportamento molto complesso da parte del paziente viene semplificato; comportamenti difficili da capire e da trattare vengono coperti con un etichetta, usata per implicare che si riferisce a qualcosa di « reale ». Questa etichetta viene poi invocata in situazioni dove gli altri sono minacciati dal senso di colpa e dell'inutilità dei loro comportamento.  L'uso dell'etichetta evoca lo stereotipo che la schizofrenia è una male incurabile. Ciò serve da concetto aspecifico, oscuro, mistificante, che va quindi usato come giustificazione conveniente e socialmente accettabile delle operazioni di allontanamento. Queste operazioni servono, in sostanza a ridurre il senso di colpa. 
In questo modo rabbia, senso di colpa e minaccia al modo di vivere delle persone significative sono mitigate dall'imposizione di un’etichetta sul paziente, che serve quindi come concetto descrittivo della persona.  In altre parole, l'etichetta «diventa» la persona. Nello stesso modo il paziente, attraverso l'esperienza dell'etichetta e del processo di stigmatizzazione, internalizza l'immagine di devianza, di inadeguatezza e di mancanza di speranza ed identifica se stesso e le sue azioni con l’etichetta. 

Es.: 

Domanda: « Chi è lei? » 
Paziente psichiatrico: ,« Sono un paziente psichiatrico ». 
D.: « Come sa di essere un paziente psichiatrico? ».
P.P.: « Perché sono nell’ospedale psichiatrico ». 
D.: « Perché è in un ospedale psichiatrico? ». 
P.P.:«Perché sono un paziente psichiatrico ». 

Così, sia il paziente che le altre persone significative trasformano i  propri sentimenti di dubbio e di incertezza, su ciò che sta accadendo, i sentimenti di rabbia e di colpa circa la responsabilità e la mancanza di risposte efficaci, in una apparente sicurezza e nella pretesa di comprendere ciò che sta accadendo a se stessi e agli altri; e ciò viene ottenuto attaccando un'etichetta al fenomeno, che viene quindi preso come  sostituto del fenomeno stesso (vedi freccia 5 nella figura 1). 

Il paziente cronico è stato dentro e fuori da tutta la serie di se disponibili, ripetutamente, senza che si sia verificato un cambiamento 

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apprezzabile. Nel migliore dei casi si sono modificati i comportamenti manifesti che lo hanno portato in terapia, ma solo per ripresentarsi poi a breve scadenza. In questo processo il paziente cronico diventa assai noto nella rete di servizi psichiatrici; è stato trattato ripetutamente negli stessi servizi e, qualora venga inviato ad un nuovo servizio, porta con sé una documentazione clinica attestante che nei precedenti servizi le sue condizioni sono rimaste invariate. 
Perciò i potenziali agenti di cambiamento diventano pessimisti riguardo il lavorare con il paziente; sviluppano atteggiamenti che riflettono una mancanza di speranza nell'incontrare di nuovo il paziente in quella che sembra una catena senza fine di futili tentativi terapeutici. Questo pessimismo è accompagnato, dalla parte del paziente, dalla sua riluttanza a impegnarsi di nuovo in incontri terapeutici sia con personale nuovo, che con quello vecchio. Il suo atteggiamento è del tipo: « perché provare ancora, se nulla ha funzionato prima? ». Il pessimismo e la riluttanza del paziente a impegnarsi nuovamente nella terapia sono spesso visti come una riprova dell'etichetta. Invece può benissimo essere interpretata come un'avversione ad imbarcarsi in un'altra esperienza di fallimento, specialmente quando del fallimento viene incolpato lui (vedi freccia 6 nella figura 1). 
I ripetuti insuccessi delle persone significative nella vita del paziente, sia parenti che operatori professionali, di operare un cambiamento, fanno entrare in gioco dei correttivi atti a proteggere il loro senso di autostima. Tra gli operatori un meccanismo comune è quello di assegnare al paziente una diagnosi o una prognosi, che di per sé assolve l'operatore dall'assumersi la responsabilità della persistenza del comportamento disfunzionale del paziente. 
L'esperienza condotta in Italia e in varie altre nazioni negli ultimi vent'anni ha già dimostrato, in maniera conclusiva, che nuove forme di trattamento attuato sul territorio, utilizzando nuove tecniche, hanno restituito un numero significativo di pazienti precedentemente « senza speranza » a un più normale ruolo funzionale nella società. Eppure la riluttanza degli operatori a cambiare i metodi di intervento appresi, benché si siano ripetutamente dimostrati inefficaci con pazienti con questo tipo di problemi, porta a definire il paziente come «senza speranza », invece che le loro modalità di intervento come « impotenti ». 
Così il profondo pessimismo e l'insicurezza che derivano da ripetuti insuccessi terapeutici, si esprime sotto forma di epiteti del tipo: Schizofrenico una volta, schizofrenico per sempre» e nell'etichettare tali pazienti come « senza speranza » per giustificare il fallimento, per rifiutare, 

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se possibile, tali pazienti e come base razionale per dirigere i propri sforzi verso « pazienti più promettenti ». 
Il paziente, intanto, avverte l'impatto di questo profondo pessimismo da parte degli altri, espresso nella razionalizzazione del fallimento tramite l'imposizione di epiteti ed etichette ed il confino in ambienti sempre più ristretti e restrittivi. Egli diventa sempre più pessimista circa la possibilità di cambiamento dentro di sé. Ripetute ospedalizzazioni e dimissioni risolvono in uno status di « migliorato» o «guarito », solo per esse: seguite da molte riammissioni, o continue difficoltà nell’esistenza. Il paziente internalizza le razionalizzazioni (proiettate su di lui) degli insuccessi degli operatori professionali e delle altre persone significative e considera lui stesso « senza speranza ». Molto spesso poi costruisce creativamente delle interpretazioni della propria condizione che rispecchia quelle degli altri, per esempio di tipo genetico: « sono nato così »; « questa è la mia natura »; « ho la schizofrenia, una malattia incurabile »; etc. 
Questo profondo pessimismo, abbinato a molte esperienze di fallimento nella terapia e accompagnato dal pessimismo delle persone significative, determina la cristallizzazione di una concezione di sé come di uno che non può cambiare. Questa concezione di sé si associa poi alla tremenda riluttanza da parte del paziente ad impegnarsi a collaborare con gli altri per ripetere ciò che prevede sarà solo una ripetizione dei fallimenti passati (vedi freccia 7 nella figura 1). 
Fra gli ultimi passaggi di questo processo per divenire « cronicamente » desocializzato c'è l'abbandono parallelo, da parte del paziente degli altri, degli sforzi per operare un cambiamento. Da parte degli altri operatori compresi, questo si riflette nel concentrare gli sforzi terapeutici dentro i confini ristretti del mantenimento del sistema, nel senso di mantenere il paziente stabile, cioè mantenerlo nello stato in cui costituisce minima minaccia al sistema di cui lui e gli altri fanno parte. Gli sforzi di operare un cambiamento cessano, ogni speranza è abbandonata e mette in atto il principio del minimo sforzo. 
L'abbandono, da parte del paziente, di ogni sforzo di cambiare manifesta nel riuscire ad opporsi al fallimento ritirandosi emotivamente dagli altri. Il ritiro emotivo del paziente è segno della sua rinuncia a tentativi di cambiamento e corrisponde ad un'analoga rinuncia da parte degli altri. All'immagine di un paziente refrattario, irraggiungibile, riscontro la diminuzione o la cessazione dei tentativi di influenzarlo. Alla fine egli raggiunge il ruolo della persona isolata, impermeabile, non interattiva, rigida, conosciuta col termine di 
« paziente schizofrenico cronico » (vedi freccia 8 nella figura 1). 

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Sommario 
I percorsi verso la cronicità sono stati descritti come: 

a) un processo reciproco che si svolge fra i pazienti e le persone significative con cui essi interagiscono; 
b) l'incapacità funzionale del paziente di confrontarsi in modo adeguato ed appropriato con i bisogni e le richieste sue o delle persone significative, a causa del... 
c) la mancanza, nel paziente, di competenze sociali adeguate ed appropriate; 
d) delusione, ferite, sensi di colpa, rabbia reciproci che causano 
e) manovre di allontanamento da entrambe le parti: la razionalizzazione di queste strategie con 
f) l'etichettatura e la stigmatizzazione che si risolve nella 
g) reificazione dell'etichetta così che il paziente e le persone significative identificano il paziente ed i suoi comportamenti con l'etichetta; 
h) aumento del pessimismo reciproco circa il valore e l'efficacia dei continui tentativi di intervento, che si conclude alla fine nell' ... 
i) abbandono parallelo degli sforzi di effettuare un cambiamento, da parte del paziente e degli altri; 
l) stabilizzazione: del paziente, quanto a rimanere lo stesso; degli altri, quanto a dirigere i loro sforzi al mantenimento del paziente ad un livello di funzionamento che rappresenti la minima minaccia ambientale. 

 

1.2.2. Il processo della Spirale Viziosa verso la stabilizzazione cronica. 


Molti pazienti che alla fine portano il nome di « pazienti psichiatrici cronici » hanno in comune una storia di ripetuti fallimenti nella comunità, lunghi periodi di internamento in ospedale o una serie di ricoveri e dimissioni, in aggiunta a ripetute esperienze di serio disfunzionamento sociale. Questi pazienti subiscono un particolare tipo di esperienza paradossale durante questo processo. 

La figura 2 rappresenta la natura di questo processo in termini di spirale viziosa. Questo paradigma descrive il processo dinamico che porta alla stabilizzazione cronica del paziente e delle altre persone significative all'interno dello spazio vitale da loro condiviso. Esso comprende tre gruppi di variabili: 1) stimoli all'azione; 2) azioni e 3) conseguenze delle azioni. Queste ultime sono quelle delineate nella figura 1 nel precedente paragrafo. 




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Fig. 2 - Il processo della Spirale Viziosa verso la stabilizzazione cronica. 






Tempo 1: 

A 1: Forte stimolo all'azione, secondo le norme sociali correnti, da parte del paziente e delle altre persone nell'ambiente. 

B 1: Agisce nell'ambiente fisico e sociale. 

C 1: Risposta: Fallisce. 

D 1: Conseguenza: Attivazione di elementi di ordine inferiore del Percorso della Desocializzasione. 

Tempo 2: 

A 2: Minore stimolo all'azione secondo le norme sociali correnti. 

B 2: Agisce in un ambiente fisico e sociale più ristretto. 

C 2: Risposta: Fallisce. 

D 2: Conseguenza: Attivazione di elementi di ordine superiore del Percorso della Desocializzazione. 

Tempo 3:
A3: Ancora minore stimolo all’azione secondo le norme sociali correnti.

B3: Agisce in un ambiente fisico e sociale ancora ristretto.

C3: Conseguenza: attivazione di elementi di ordine ancora superiore del Percorso della Desocializzazione.


Tempo 4:

A4: Poco o nessuno stimolo all’azione secondo le norme sociali correnti.

B4: Agisce in un ambiente fisico e sociale impoverito, le cui norme sono dirette al mantenimento del sistema.

C4: Conseguenza: Soddisfatte con successo le aspettative degli elementi di ordine più elevato del Percorso di Desocializzazione.

[540] 



Molte persone desocializzate, sia che finiscano come pazienti psichiatrici cronici nell'ospedale, o che rimangano come membri disfunzionanti della società, possono ancora essere recettivi verso molti dei valori della società e rimanere coscienti delle aspirazioni e delle mete collettive, sia interpersonali che materiali, anche se hanno cessato di sforzarsi di raggiungerle per sé. Possono essere sensibili ai sistemi di ricompensa e di status della società e possono essere consapevoli di far parte di una classe svalutata e senza risorse. Perciò stimoli all'azione secondo le norme sociali correnti SOI;!O significativi per molti individui desocializzati ed incompetenti anche se essi non possiedono le capacità per l'aggiungere le mete della società di cui fanno parte. 

La figura 2 rappresenta il processo della spirale viziosa. Inizialmente, al tempo 1, sia il paziente che gli altri intorno a lui sono recettivi agli stimoli all’zione secondo le norme sociali correnti della collettività.  Gli altri hanno l'aspettativa che il paziente agirà, dal punto di vista intra-personale, inter-personale e strumentale, in maniere competenti secondo queste norme. Il paziente ha il bisogno di raggiungere le ricompense offerte dalla collettività che conseguono ad azioni competenti. Però quando il paziente risponde agli stimoli ed agisce nell'ambiente fisico e sociale, a causa della sua incompetenza, le conseguenze di queste azioni sono dei fallimenti. Questo fallimento poi attiva le conseguenze delineate in figura 1 e nella discussione che segue, cioè gli elementi di ordine inferiore del percorso verso la desocializzazione, come il disappunto, il rifiuto, le ferite, il ritiro etc. 

Se il fallimento e le sue conseguenze comportano l'invio a servizi psichiatrici, e forse anche l’ospedalizzaaione, assai spesso, nei vari servizi che si succedono, non viene preso in considerazione un elemento chiave: l'acquisizione di capacità o competenze specifiche la cui mancanza fu responsabile del fallimento. Perciò la volta seguente che il paziente e gli altri, in risposta agli stessi stimoli, si impegnano di nuovo in un'azione, vi è un'alta probabilità ed aspettativa di un altro fallimento. Con il passare del tempo questa aspettativa, ripetuta e condivisa da parte del paziente e degli altri, dà luogo a due fenomeni. 

Primo: a causa delle aspettative di fallimento, derivanti da una storia precedente di ripetuti fallimenti, sia gli altri che il paziente limitano gli stimoli e le richieste ambientali ai quali rispondere nelle loro interazioni reciproche. 

Secondo: a causa della precedente storia di fallimenti il paziente percepisce certi stimoli come meno significativi per lui perché ha imparato che rispondere ad essi porta al fallimento e alla contemporanea attivazione degli elementi descritti in figura 1. 

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Così, in figura 2, il tempo 2 mostra che la situazione di stimolo è più ristretta che non al tempo 1, da parte sia degli altri che del paziente.
 In risposta a questi stimoli il paziente agisce ora in un ambiente fisico e  sociale più ristretto e tuttavia, a causa della sua mancanza di competenze sociali, fallisce ancora. Questo fallimento attiva Elementi del Percorso ordine superiore (figura 1.).  C'è pertanto una progressione nella spirale  viziosa: stimoli all'azione più ristretti, risposte incompetenti che si concludono in fallimento, e conseguenti reazioni di crescente e reciproco allontanamento e desocializzazione da parte sia del paziente che degli altri. 
Questo processo è definito come una spirale discendente e non come il proverbiale circolo vizioso perché non c'è ritorno allo stesso punto. Con il passare del tempo il ripetersi dei fallimenti si risolve, per entrambi i gruppi di attori, in un restringersi continuo del numero e della qualità di stimoli all'azione significativi e, dopo il fallimento, nell'attivazione elementi di ordine superiore nel Percorso verso la Desocializzazione, come rappresentato in figura 1.
Questo processo continuo prosegue fino tempo 3, come mostra la figura 2. 

Alla fine, dopo una lunga storia di ripetuti fallimenti personali e sociali, questi individui con seri problemi nell'esistenza (associati ad anca di competenza sociale) finiscono in una situazione, o nella comunità nell'ospedale, dove essi e gli altri non colgono, o non forniscono, gli stimoli ad azioni conformi alle norme sociali correnti. Il paziente si trova ora nella posizione di agire in un ambiente fisico-socio-psicologico estremamente impoverito, le cui norme sono centrate o orientate alla conservazione del sistema. Il paziente e gli altri agiscono ora secondo gli elementi di ordine più elevato del percorso verso la desocializzazione. II paziente è rigido e non risponde alle aspettative ed opinioni degli altri; altri cessano ogni sforzo di cambiamento e lo relegano nel ruolo che comporti la minaccia minore per la collettività. Le conseguenze delle azioni del paziente in questo stadio sono, per la prima volta, di successo. Per al tempo 4, il paziente è lasciato in pace e il suo comportamento è stabile; in breve: sia lui che le altre persone significative hanno elaborato un  ruolo reciproco di compatibilità, sia pure a prezzo di un reciproco ritiro ed allontanamento. 

I due processi descritti qui sono processi di natura generale e richiedono alcuna presupposizione circa le caratteristiche della persona che rimane coinvolta in essi. Sebbene in questa discussione ci siamo concentrati su individui comunemente etichettati come schizofrenici cronici, o più generalmente come pazienti psichiatrici cronici, simili risultati  sono stati osservati con individui  che non portano queste etichette, 

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ma che hanno subito processi simili. Carcerati detenuti a lungo nei penitenziari, prigionieri di guerra, pazienti anziani in ambienti restrittivi nelle case di riposo, tossicomani che vivono in sottogruppi sociali miserabili ed emarginati, pazienti con invalidità fisiche croniche, ospiti di istituzioni, persone, ritardate mentali che vivono in ambienti poco stimolanti. Tutti manifestano col passare del tempo forme simili di desocializzazione e di fallimento o perché non hanno mai sviluppato le capacità sociali richieste per evitare il fallimento, o per la perdita delle capacità sociali da disuso, come, per esempio, nel caso di prigionieri con lunghe pene detentive. 

1.2.3. Punti di intervento. 

La maggior parte dei tentativi di intervento con pazienti psichiatrici a lungo termine vengono di solito effettuati dopo che il paziente ha agito e fallito. L'obiettivo dell'intervento è di solito quello di ovviare alle conseguenze del fallimento, di proteggere il paziente dalle conseguenze delle sue azioni e di evitare disturbo alla collettività. 
L'inutilità di questo modello diviene evidente quando lo si osserva alla luce della precedente discussione. Molto spesso gli stimoli ambientali all'azione richiedono, per il loro completamento con successo (ed il conseguente raggiungimento delle ricompense), una gamma completa di competenze sociali che manca al paziente. L'ambiente è troppo complesso, porta a frustrazione del comportamento, eccitamento emotivo, etc. 

Così, fin dall'inizio, il contesto ambientale nel quale il paziente e gli altri agiscono ed interagiscono porta al fallimento. In secondo luogo, il paziente è lasciato fallire, perpetuando così la lunga storia di fallimenti e rinforzando l’aspettativa da entrambe le parti che se c'è azione, ci sarà fallimento. In terzo luogo, si hanno pochi interventi, o addirittura nessuno, diretti allo sviluppo delle capacità sociali per evitare il fallimento. In quarto luogo, gli interventi sono diretti al mantenimento del sistema dopo che il fallimento è già avvenuto. 

Al contrario, l'Approccio della Competenza Sociale può essere rappresentato nella maniera seguente: 




Fig. 3 - Punti di intervento. 

 




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Questo approccio precisa che si effettuano interventi ad ogni punto della sequenza stimolo-azione-conseguenza. In primo luogo l’ambiente deve essere strutturato in modo tale che il contesto nel quale il paziente e il terapeuta interagiscono promuova comportamento organizzato e che le richieste relative a comportamenti, ricompense ed aspettative, siano commmisurate al repertorio comportamentale del paziente. 
In secondo luogo vi è un intervento attivo nell'assistere il paziente ad agire con successo nei compiti interattivi ai quali partecipa con l’operatore. In altre parole è essenziale strutturare l'ambiente e le situazioni interazione personale senza dare per scontato, all'inizio, e quindi aspettarsi, che il paziente abbia delle capacità sociali. Questo approccio accetta il paziente così come è e persegue lo sviluppo di capacità sociali attraverso un procedimento che assicuri esperienze di successo in situazioni sempre più conformi a quelle che il paziente incontrerà nel sottogruppo sociale nel quale si spera ritornerà. 
In terzo luogo, la natura del sistema di ricompense per aver portato a termine con successo delle azioni deve essere conforme alle norme sociali correnti e al significato attribuito ad esse dal paziente, se si vuole promuova ulteriore apprendimento. 

CONCLUSIONI 

Gli interventi riabilitativi devono essere tali da invertire il percorso della desocializzazione sviluppando competenze sociali che aiutino il paziente a cavarsela efficacemente e con successo nell'ambiente esterno al setting terapeutico. Questi interventi riabilitativi devono svolgersi in ambienti strutturati in modo da favorire l'organizzazione del comportamento e quindi migliorare il processo di risocializzazione. 


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CAP. 2.    LA DETERMINAZIONE DEGLI OBIETTIVI DELLA RIABILITAZIONE 

Nel capitolo precedente si è sottolineata l'importanza di considerare la storia sociale del paziente cronico quando si descrive il suo attuale livello di funzionamento nell'ambiente fisico e sociale. Le persone che hanno l'etichetta di « paziente psichiatrico cronico» sono state descritte come aventi seri problemi nell'esistenza a causa di incompetenze sociali che hanno portato a lunghe storie di fallimenti personali e sociali. Questi fallimenti hanno poi attivato processi reciproci, fra il paziente e le altre persone significative, risoltisi nel mutuo allontanamento e nella cristallizzazione della relazione con il paziente. Quest'ultimo si assume un ruolo irrigidito di « paziente cronico» non recettivo, incompetente, disfunzionante, mentre gli altri razionalizzano la loro relazione con lui nei termini di mantenerlo in un ruolo disfunzionante stabile rinunciando ai tentativi di cambiamento. 
Gli interventi disegnati per rompere questa spirale viziosa devono iniziare con l'esposizione degli obiettivi della riabilitazione. Per il paziente psichiatrico che ha subito problemi cronici nell'esistenza e che ha subito una grave desocializzazione nella collettività o nell'ospedale, o in entrambi, la riabilitazione implica aumentare la sua articolazione sociale con l'ambiente. 

2.1. L'Articolazione Sociale







Fig. 4 - Articolazione Sociale. 


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Semi-definizioni degli Elementi dell'Articolazione Sociale. 

Soddisfare: agire in maniera accettabile al referente, alle sue aspettative o bisogni in riferimento ad un obiettivo specifico. 

Rapportarsi: stabilire interazioni affettive, strumentali, comunicative ed organizzative significative. 

Appropriato: nell'ambito dell'accettazione sociale corrente. 

Adeguato: necessario per un'interazione di successo, almeno minimo. 

L'obiettivo dei programmi di riabilitazione è lo sviluppo dell'articolazione sociale. Questa definizione implica che il paziente deve sviluppare quelle abilità o competenze sociali che gli permettano di rapportarsi a certi bisogni e richieste proprie e degli altri in maniera efficace secondo le norme sociali correnti. Piuttosto che usare le solite formulazioni vaghe ed ambigue che si trovano nelle definizioni tradizionali della riabilitazione, a proposito di
« reinserire il paziente in un ruolo significativo all’interno della società », questa definizione specifica i referenti con cui il paziente dovrà interagire; specifica inoltre come il paziente deve soddisfare i bisogni e le richieste altrui: cioè soddisfare e mettersi in relazione al contesto; infine specifica le qualità e le esigenze degli attori perché l'interazione porti al successo secondo le norme correnti. 
Una differenza chiave tra il concetto di articolazione sociale e quello usato di solito per determinare gli obiettivi della terapia per i pazienti è che l'operatore è obbligato a considerare le varie componenti del risultato del processo di riabilitazione su di una base a priori. 
Perciò, in ogni momento del processo riabilitativo, si può valutare la completezza del piano terapeutico. Ora diventa possibile sapere non solo cosa è incluso nel piano terapeutico, ma anche cosa è stato lasciato fuori. Quest'ultima informazione, è spesso essenziale come la precedente, dal  momento che indica la capacità generale del piano di preparare il paziente a far fronte con successo ed efficacia alle esigenze del vivere nella società esterna. 

L'esperienza ha dimostrato che è possibile descrivere esaurientemente lo spazio vitale di una persona secondo cinque aree di vita: 

1) abitazione 
2) lavoro 
3) compagni e/o famiglia 
4) cura personale 
5) spazio sociale e ricreativo, 

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Il compito della riabilitazione diventa allora lo sviluppo di quei Comportamenti Socialmente Competenti (C.S.C.) che accresceranno l'articolazione sociale della persona in ciascuna di queste cinque aree di vita. Sebbene ogni area possa essere vista come concettualmente distinta, nella vita reale, naturalmente, esse sono inestricabilmente intrecciate. Pertanto il procedimento della riabilitazione incomincia con l'analisi dei C.S.C. necessari per avere un comportamento efficace e di successo in ciascuna area di vita e prosegue poi integrando queste cinque aree e relative abilità in uno spazio vitale complessivo. 

2.2. Punti riguardanti la formulazione di Comportamenti Socialmente Competenti appropriati e adeguati. 

Il procedimento per determinare che cosa è un C.S.C. nello spazio vitale del paziente richiede un cambiamento rispetto l'approccio tradizionale. Di solito, quando vediamo un paziente agire in maniera desocializzata, incominciamo a categorizzare i suoi comportamenti come normali o patologici essenzialmente in base a come si conformano alla norma statistica di comportamento che noi, come operatori, consideriamo normale. Al cuore delle formulazioni presentate qui c'è l'assunto che i comportamenti, di per sé, non dovrebbero essere oggetto di analisi. Piuttosto sono le conseguenze dei comportamenti che dovrebbero essere considerate nel determinare se si tratta di C.S.C. o no. 
 Ecco un esempio: un comportamento che a prima vista potrebbe sembrare inappropriato e desocializzato è sputare eccessivamente in pubblico, particolarmente se sputare comporta l'espulsione di liquido marron scuro e di odore intenso. Se questo comportamento avesse luogo in un posto di lavoro usuale, per esempio, in un ufficio o in un servizio psichiatrico, il paziente, o comunque colui che sputa, sarebbe severamente sanzionato o allontanato dall'ambiente. Eppure lo stesso comportamento viene osservato molto spesso, per esempio alla televisione durante le partite di baseball, dove giocatori e allenatori superpagati, individui che sono degli eroi popolari, regolarmente e pubblicamente masticano tabacco ed espettorano o in campo o in panchina. Questo comportamento è accettato come parte del gioco e non evoca sanzioni né da parte dei loro capi né del pubblico. 
Perciò non è il comportamento di per sé che può essere classificato deviante o patologico, ma piuttosto il comportamento nel contesto di luogo e di circostanze nelle quali viene esibito e soprattutto le conseguenze che evoca. Nel caso del giocatore di baseball lo sputare non comporta sanzioni, mentre esibire lo stesso comportamento in altri ambienti, da parte di altre persone, potrebbe certamente portare ad un insuccesso personale e sociale.

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 È per ragioni come queste che la conoscenza degli elementi specifici dell'articolazione sociale è essenziale per valutare grado e la qualità della desocializzazione del paziente e per definire quali C.S.C. dovrebbero essere sviluppati per rompere la successione di fallimenti nel suo spazio vitale, o nello spazio vitale nel quale, si spera, ritornerà. 
Questo implica inoltre che gli obiettivi della terapia non possono essere fissati dagli operatori rimanendo seduti nel loro studio ed effettuando procedimenti di valutazione e di definizione sulla 'base del proprio insieme di valori o del proprio giudizio. Indica invece che le informazioni devono essere raccolte nell'ambiente in cui il paziente vive attualmente o si spera andrà a vivere. Si deve infatti valutare accuratamente e specificamente quella combinazione unica ed irripetibile delle aspettative degli attori coinvolti, riguardo che cosa porterà a riuscire nelle Interezioni. E' seguendo questo procedimento di valutazione che si debbono sviluppare quei C.S.C. che determineranno esperienze di successo da parte sia del paziente che degli altri. 
Una ulteriore implicazione di questo procedimento è che non avviene una volta per tutte, nè è completo in un dato momento. Piuttosto è il procedimento ripetitivo che bisogna effettuare ogni volta lo spazio vitale del paziente cambia, come quando, per esempio, il paziente si trasferisce felicemente in un ambito più normale, fronteggia nuove e più complesse esigenze, quando i suoi bisogni diventano più aderenti alla norma e aspettative sono più conformi a quelle degli altri membri della collettività. 
Ci sono due ordini di norme comportamentali che bisogna considerare. La prima è quella delle norme generali: nonostante le qualità specifica di ciascun individuo tutti noi siamo membri della stessa collettività, cioè la società, e condividiamo norme ed esigenze simili, entro un'ampia gamma di comportamenti accettabili: norme sul come vestirsi, sull'igiene personale, norme sull'arrivare al lavoro in orario etc. 
In secondo luogo ci sono norme particolari che sono specifiche dell’individuo nel suo particolare spazio vitale e che variano da individuo individuo nella stessa collettività, per esempio preferenze personali riguardo l'occupazione, il divertimento, le regole familiari, gli amici, etc.
Lo sviluppo di competenze per confrontarsi con successo con entrambi gli ordini di norme è essenziale per il processo di riabilitazione. 

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2.3. La Diagnosi degli Handicap di Competenza Sociale. 

Il primo passo per fare la diagnosi degli handicap di competenza sociale è quello di valutare i C.S.C. che dovrebbero essere sviluppati per farcela con successo nell'ambiente del paziente. Come detto prima questo si fa all'interno del contesto dello spazio vitale della persona (vedi definizione dell'Articolazione Sociale). La tesi fondamentale che sta alla base di questo procedimento è che, come presentato nel Cap. 1, il Percorso verso la Desocializzazione è stato caratterizzato da una incompetenza generale che certo ha avuto un peso nella lunga storia di fallimenti personali e sociali. 
La Diagnosi degli Handicap di Competenza Sociale è un approccio semplice, basato sul senso comune, per definire il compito della riabilitazione superando molte delle difficoltà già citate nel Cap. 1; inoltre permette agevolmente di fissare degli obiettivi all'interno di contesti generali e particolari ed ha implicazioni molto specifiche per la struttura del programma. 

La seguente è la descrizione del Formato della Diagnosi di Competenza Sociale e della sua utilità (Fig. 5). 
Nella colonna 1: « Aree dello Spazio Vitale », sono delineate le varie sedi che comprendono lo spazio vitale del paziente nella collettività. Gli attori specifici in questo spazio vitale, le loro relazioni reciproche ed il flusso di richieste e di bisogni può essere specificato abbastanza bene nel corso del tempo, nel modo descritto. Perciò l'operatore, o colui che fa la valutazione, ha immediatamente uno schema di riferimento nel quale incominciare a vedere il paziente. 
Come già detto prima, gli obiettivi del processo di riabilitazione devono sempre essere collegati alle norme specifiche degli spazi vitali del paziente. Perciò quando si fissano gli obiettivi per i pazienti bisogna subito identificare i bisogni, le richieste e i modelli normativi di vita della collettività in cui il paziente già vive, o deve andare a vivere. Questo è indicato nella colonna 2: « valutazione dei C.S.C. necessari per farcela con successo ». I numeri 1, 2, 3, etc., in questa colonna rappresentano specifiche capacità o competenze sociali necessarie per farcela con successo ed efficacia. 
Questo processo implica che, del numero infinito di modi per descrivere il paziente, lo schema di riferimento che sarà usato è quello di confrontare le capacità che già possiede (colonna 3.), con quelle postulate come necessarie per farcela con successo nella collettività (colonna 2.). Con questo procedimento riusciamo ad ottenere chiarezza e precisione in 


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due aree importanti: primo, possiamo ora concettualizzare le « forze » e le « debolezze» del paziente nei termini di un contesto specifico, cioè dell'ambiente nel quale le sue competenze, o la sua mancanza di competenze, hanno effetti specifici, e non di affermazioni ambigue sulle risorse o sui deficit del paziente, spesso basate su giudizi di valore o concezioni moralistiche.  
In secondo luogo possiamo ora diagnosticare il paziente in termini significativi. Nel Cap. 1. abbiamo illustrato estesamente l'inutilità della diagnosi formale tradizionale. Usando la Diagnosi degli Handicap di Competenza Sociale siamo in grado di riferirei ad un paziente in termini molto precisi: nei termini delle competenze che sono richieste per farcela con successo nella collettività, questo paziente ha certi handicap che possono essere specificati nelle diverse aree del suo spazio vitale. 
Invece di usare l'epiteto di « schizofrenico cronico» tutte le ambiguità già menzionate, siamo in grado di concettualizzare la natura delle sue esperienze di fallimento e la sua incompetenza nel cavarsela, riferendoci direttamente agli handicap. Per il fatto che non possiede le competenze richieste per cavarsela efficacemente va incontro al fallimento sociale, all'handicap sociale. In questo schema teorico la descrizione del paziente è collegata sistematicamente alla descrizione dell'ambiente utilizzando come collegamento il costrutto della competenza sociale; cioè il paziente è descritto come socialmente incompetente con, riferimento preciso a quelle competenze necessarie a cavarsela con successo nelle varie aree dello spazio vitale in un ambiente specificato. 

La colonna 4  allora viene ricavata sottraendo i C.S.C. già in possesso del paziente (colonna 3.) da quelli necessari per farcela con successo (colonna 2.) nei contesti specificati (colonna 1.). I C.S.C. inclusi nella colonna 4. indicano dunque quali devono essere gli sforzi dell'organizzazione terapeutica: lo sviluppo di specifici C.S.C. necessari per superare gli Handicap di Competenza Sociale, cioè per funzionare con successo nell'ambiente dove il paziente si trova o nel quale si trasferirà. Questa definizione dei C.S.C. da sviluppare è perciò collegata sistematicamente, come una prescrizione terapeutica, al procedimento di valutazione dell'ambiente e del paziente. 
La specificazione dei C.S.C. da sviluppare ha importanti implicazioni per lo sviluppo dei programmi terapeutici. Dal momento che è ora possibile descrivere i C,S.C.che il :procedimento di riabilitazione dovrebbe insegnare attraverso l'interazione del 'personale con il paziente, allora dovrebbe essere possibile valutare quelle modalità del programma che già 


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esistono o sviluppare nuove modalità tenendo presente come la loro struttura facilio indicisca [†††]* questo specifico sviluppo di C.S.C. È di questo argomento che adesso andiamo ad occuparci. 

*testo corrotto, impossibile leggere il testo.



2.4. Struttura del programma. Lo Sviluppo di Attività di Gruppo di Competenza Sociale. 

Proponiamo che i programmi di riabilitazione siano concettualizzati come composti di: 
Attività di Gruppo di Competenza Sociale (A.G.C.S.): sono attività di gruppo, strutturate, composte di Parti Componenti che devono essere specificate; al loro interno il personale ed i pazienti interagiscono per sviluppare i C.S.C. 
Parti Componenti (P.C.): nuclei di attività attorno ai quali personale pazienti interagiscono in maniere finalizzate e specificate. Queste parti componenti possono essere attivate oppure no, in un dato momento, nell’interazione fra l'operatore e il paziente. 
Queste due definizioni implicano i seguenti parametri riguardo la struttura dei programmi di terapia o riabilitazione: 

1. ogni A.G.C.S. è definita per quanto riguarda il suo contenuto e la sua struttura; 

2. una A.G.C.S. deve offrire opportunità di interazione fra personale pazienti attorno ad attività specifiche; 

3. le interazioni dell'operatore e del paziente sono finalizzate specificatamente allo sviluppo di C.S.C.; 

4. una A.G.C.S. può essere organizzata in modo da includere nel suo piano complessivo delle opportunità di attività-interazione per sviluppare un gran numero di C.S.C. attraverso diversi tipi di interazione. Queste opportunità possono essere specificate a priori nel piano del A.G.C.S. 
Per illustrare questi parametri, riportiamo un esempio reale tratto da un programma diurno di un Centro che usa questo modello. All’inizio della giornata alcuni pazienti sono invitati al Centro presto, in modo da fare i preparativi per la Riunione di Comunità. Questi preparativi  

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consistono nel fare il caffè, pulire la stanza della riunione e sistemare le sedie. I parametri saranno quindi i seguenti: 
A.G.C.S.: un gruppo che si può chiamare et Gruppo Preparazione Caffè e Sistemazione Stanza ». Sebbene questo gruppo possa avere un alto valore per il mantenimento dell'organizzazione, assicurando ricompense, sotto forma di caffè, per i pazienti e il personale, e presentando una stanza in ordine quando i pazienti entrano per la riunione (per ridurre la disorganizzazione), il vero scopo per cui alcuni pazienti eseguono questi compiti con un operatore è quello di fornire loro l'opportunità di sviluppare certi C.S.C. in base alla loro Diagnosi degli Handicap Sociali.
 Questa A.G.C.S., il Gruppo Caffè e Sistemazione, deve essere visto solamente come una attività all'interno della quale, interagendo con un operatore, questi C.S.C. possono essere appresi. 

C.S.C. ipoteticamente necessari per comportarsi con successo nella A.G.C.S. : in generale il paziente deve essere capace di arrivare puntuale e di eseguire un compito di responsabilità in modo competente. Però è istruttivo esaminare più dettagliatamente questi pre-requisiti globali dal momento che essi presuppongono la presenza di un gran numero di C.S.C., lo sviluppo dei quali potrebbe essere proprio la ragione per cui un paziente è assegnato a questo gruppo. 

Il paziente dovrebbe: 

1. essere in grado di alzarsi in orario; 

2. lavarsi e vestirsi appropriatamente; 

3. sapere dove prendere il bus, quanto costa, il tempo necessario per arrivare al Centro puntuale, gli orari dei bus, quale è il comportamento appropriato' di un passeggero, in' modo di arrivare al Centro in maniera organizzata; 

4. sapere cosa ha da fare, cioè mettere su l'acqua, controllare le provo viste, sapere quanto è necessario, sapere cosa fare se le provviste sono insufficienti e come procurarne a sufficienza; 

5. sapere come andare al negozio di alimentari, per esempio: se necessario andarci veramente, sapere il costo dei vari articoli, avere con sé la quantità giusta di denaro, portare il resto e la ricevuta, conoscere ed utilizzare il comportamento che si addice ad un acquirente; 

6. per preparare la stanza riunioni: avere i criteri di pulizia e ordine ed avere le capacità per assumersi la responsabilità della pulizia e dell'ordine; 

7. sapere cosa è richiesto per quella riunione, cioè il numero di sedie, posacenere, fogli di carta ecc.; 

8. saper ricevere adeguatamente istruzioni dall'operatore; 

9. essere in grado di lavorare in cooperazione con gli altri pazienti e con gli operatori; 

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10. essere consapevole della relazione fra i compiti da eseguire e l’intervallo di tempo in cui devono essere eseguiti in modo che la riunione possa iniziare in orario. 
Questo accenno ad alcuni dei C.S.C. necessari per riuscire nel compito illustra alcuni dei punti sollevati nel paragrafo sulla Diagnosi degli Handicap di Competenza Sociale. 
I C.S.C. qui ipotizzati all’interno della struttura di una specifica attività del programma (una A.G.C.S. chiamata qui Gruppo Preparazione Caffè e Sistemazione Stanza), sono C.S.C. che rientrano in uno schema di sviluppo di C.S.C. comunitari generali, quali alzarsi in orario, avere cognizione dei compiti, aver a che fare col ricevere istruzioni e supervisione, vestirsi e rassettarsi appropriatamente etc., e anche di C.S.C. specifici del gruppo, come fare la spesa, lavorare con compagni ed avere la cognizione di ordine e pulizia. Si noterà tuttavia che queste capacità sono molto simili alle capacità richieste per un funzionamento adeguato ed appropriato in molte delle aree dello spazio vitale della maggior parte dei pazienti. 
Perciò diventa chiara una caratteristica essenziale di una A.G.C.S essa deve essere strutturata in modo da offrire ai pazienti l'opportunità di apprendere C.S.C. sia generali che specifici che sono risultati importanti da sviluppare perché il paziente possa funzionare con successo ed efficacia nella comunità, all'esterno del setting terapeutico. Mano a mano che il paziente apprende dei C.S.C. e diventa più competente, le norme, i valori e le aspettative del Centro sono resi sempre più conformi a quelli del società esterna. Inoltre il paziente è assistito dagli operatori nell’utilizzare queste capacità nelle aree dello spazio vitale nella società esterna. 
Come affermato precedentemente, quello della Diagnosi degli Handicap di Competenza Sociale è un processo sempre in corso. È concettualmente sbagliato assumere che ad un certo punto sarà completo, o che tutte le informazioni rilevanti possano essere raccolte dalle altre persone significative dello spazio vitale del paziente (*). Come è stato fatto notare nel capitolo 1. i processi di allontanamento si risolvono in sempre minori contatti fra il paziente e le persone significative attorno a lui, così che spesso è difficile o impossibile procurarsi informazioni pertinenti riganti  il repertorio di competenze sociali del paziente. Ciò è legato al fatto che il paziente e le persone significative interagiscono in spazi vitali assai impoveriti come l'ospedale. Per queste ragioni, e per altre ancora,  

(*) Purtroppo gli strumenti di valutazione della disabilità proposti anche recentemente, quali il D.A.S. (Disability Assessment Scale), si basano su questo metodo (n.d.t.). 

[554] 

è importante utilizzare le A.G.C.S. del programma di riabilitazione come un microcosmo nel quale il comportamento del paziente può essere valutato. 
Parti Componenti: esse sono, come si è detto, nuclei di attività attorno ai quali operatori e pazienti interagiscono in maniera finalizzata ed esplicitata chiaramente. Se ritorniamo a prendere in esame i C.S.C. ipotizzati come necessari per partecipare adeguatamente e appropriatamente al Gruppo Caffè e Sistemazione Stanza, possiamo notare che è richiesto un gran numero di C.S.C.
 Il coinvolgimento dei pazienti in questa A.G.C.S. sarà determinato da una serie di fattori: se il paziente possiede già i C.S.C. adeguati ed appropriati per assicurare un funzionamento almeno minimo di successo nell'A.G.C.S. e se ci sono le opportunità per il personale ed il paziente di interagire con l'obiettivo di sviluppare ulteriori C.S.C. per aiutare il paziente a funzionare con maggior successo e più adeguatamente (questa è la definizione di Parte Componente), allora il paziente potrebbe certamente essere assegnato a questo gruppo. Però se il paziente non ha un C.S.C. necessario, come alzarsi in orario in modo da arrivare puntuale per eseguire i suoi compiti prima dell'inizio del programma successivo, allora sarà necessario sviluppare questo C.S.C. in un'altra A.G.C.S., oppure incorporare nel gruppo altre parti componenti per sviluppare il C.S.C. di alzarsi in orario, per esempio andando a chiamare il paziente a casa in tempo per fornirgli l'incoraggiamento ad alzarsi, organizzarsi ed arrivare al Centro in orario. 
In generale, dunque, la progettazione di un programma riabilitativo, composto di varie A.G.C.S., è legata al fatto di avere prima una buona idea di quali C.S.C. dovrebbero essere sviluppati e di costruire le A.G.C.S. in modo che ci siano appropriate Parti Componenti, attivabili nella interazione fra il paziente e i membri del personale, per sviluppare questi particolari C.S.C. 

Estendiamo l'esempio ad altri pazienti che arrivano al Centro per la Riunione di Comunità, ed assumiamo che ci saranno circa quindici minuti fra il tempo previsto per il loro arrivo e l'inizio della riunione. Al suo ingresso nel Centro, il paziente sarà salutato da un membro del personale (questa Parte Componente offre attenzione al paziente, contrapponendosi all'allontanamento cui si era gradualmente abituato; lo fa sentire benvenuto, e gli trasmette la sensazione che il personale è felice di vederlo; inoltre può imparare a restituire un saluto in modo appropriato. Viene diretto ad appendere il cappotto e a deporre la borsa o eventuali pacchetti in un posto sicuro (questa Parte Componente aiuta i pazienti ad imparare le maniere corrette di entrare in situazioni sociali, contrapponendosi ai loro frequenti comportamenti desocializzati di sedere attorno col cappotto indosso, stringendo le borse per paura che vengano rubate - comportamento spesso utile nell'ospedale - ecc. Inculca la cura della loro proprietà, e della proprietà altrui: per esempio appendono il cappotto altrui, se cade 

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sul pavimento; insegna ad aspettare in fila, se necessario, a trattare con altri che vogliono riporre le loro cose allo stesso momento e a confrontarsi con la frustrazione di ritardare la gratificazione e di rispondere a desideri e bisogni degli altri. 
Una volta che il paziente ha finito questi preparativi entra nella stanzi della riunione, sceglie un posto per sedere, saluta gli altri pazienti e il personale e prende il suo caffè (in questa Parte Componente, che deriva dalle precedenti, il paziente sviluppa le capacità di vedere che le sue azioni possono avere un effetto su come può funzionare tranquillamente e senza incidenti in un gruppo; impara il comportamento sequenziale, che le sue cose possono essere al sicuro, che il modo come è salutato è collegato a modo in cui saluta gli altri, impara a generalizzare modi di entrare in situazioni sociali, ecc.). . 
Mentre il paziente sorseggia il suo caffè ed attende l'inizio della riunione, un membro del personale lo fa conversare con altri pazienti, discute con lui le maniere di organizzarsi per le attività del mattino, per esempio suggerendogli di metter via le cose di cui non ha bisogno, di vedere se ha bisogno di sigarette e, se sì, di uscire a comperarle in tempo, in modo da non dover lasciare a mezzo le attività successive, e così disorganizzarsi. C'è anche l'opportunità di passare dagli elementi disorganizzanti dell'« esterno» alla struttura del lavoro nel Centro. A questo punto il paziente può discutere con il personale e altri pazienti cosa è successo dall'ultimo giorno insieme al Centro (qui, di nuovo, si può vedere che le interazioni paziente personale possono essere pre-strutturate in maniera generale all'interne delle possibilità offerte dal piano di una A.G.C.S., per sviluppare specifici C.S.C., per l'acquisizione dei quali il paziente è assegnato a questo particolare gruppo). 
Abbiamo visto finora l'interdipendenza dello sviluppo di C.S.C. all'interno di A.G.S.C. tramite l'attivazione di Interazioni paziente-personale (Parti Componenti) come potrebbe essere interpretata in un ipotetico frammento di programma. 

Un altro esempio: Il Gruppo Giornali. 
Un gruppo giornali, o delle notizie di attualità, è un'attività che si trova spesso nei programmi di risocializzazione. Presenteremo qui due tipi di un tale gruppo, uno per pazienti più socializzati, ed un altro per meno socializzati, concentrandoci sulla interdipendenza dei C.S. C. che possono essere sviluppati in tale attività attraverso l'interazione operatore-paziente. 
Gruppo di Livello Superiore: un membro del gruppo può essere responsabile di acquistare i giornali e di portarli al Centro prima che il Gruppo inizi. Questo compito può essere assegnato ad un paziente che ha bisogno di un compito strumentale per aiutarlo a mediare il processo di ingresso 

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nel Centro, e di una responsabilità che gli fornisca una ricompensa per il fatto di arrivare regolarmente e in orario; la ricompensa consiste nell'adempimento di una funzione importante e apprezzata nella collettività del gruppo giornali e del Centro. 
Dopo la Riunione di Comunità ( per continuare l'esempio citato prima ), un operatore può annunciare che il gruppo giornali sta per incominciare, e ricordare ai pazienti in quale stanza il gruppo si riunirà. Questo annuncio ha la funzione di avvertire i pazienti che l'attività in cui sono impegnati, cioè la riunione di comunità, è finita, e sta per essere seguita da un'altra attività. Avverte i pazienti di un processo di transizione, li orienta su dove dovrebbero andare e sullo scopo della loro attività successiva. L'annuncio è quindi importante per aiutare i pazienti a sviluppare un orientamento verso un'azione finalizzata da compiersi entro un periodo limitato di tempo, in modo che il gruppo inizi in orario e per evitare la disorganizzazione che seguirebbe se i pazienti entrassero alla spicciolata.
Il gruppo potrebbe iniziare l'attività ascoltando le notizie alla radio, trasmesse alle ore 9 esatte. Questo è un altro aspetto strutturale del gruppo, che fornisce ai membri del gruppo un incentivo per essere nella stanza e seduti in orario. Pertanto c'è una ragione evidente per i pazienti, con o senza l'operatore, per preparare prima la stanza, così che il gruppo possa iniziare l'attività puntualmente e ascoltare la radio fin dall'inizio, in maniera organizzata. Perciò i pazienti possono imparare che ci sono conseguenze distinte in rapporto alle loro azioni; cioè se la stanza è preparata ed i membri del gruppo arrivano tutti puntualmente, allora il risultato, quanto all'ascolto, è molto differente di quello che si ha se la stanza non è preparata, mancano sedie, i pazienti continuano ad arrivare disturbando chi cerca di ascoltare. 
Preparare la stanza comporta controllare che tutto ciò che sarà necessario sia disponibile, che ci siano abbastanza sedie e posacenere, che i giornali siano arrivati e che la radio funzioni, che i tavoli siano puliti ed asciutti, pulendoli se non lo sono. Perché il gruppo giornali può essere strutturato in modo che molti C.S.C. possano essere appresi anche prima che il gruppo inizi: imparare la sequenza degli eventi; le conseguenze di azioni differenti nel preparare la stanza; a collegare le azioni al raggiungimento di vari scopi: per esempio, per far sedere tutti quanti deve esserci un numero specifico di sedie; per ascoltare la radio bisogna che i membri del gruppo si trovino nella stanza ad un certo orario dal momento che fa differenza se non sono puntuali: cioè non saranno in grado di ascoltare le notizie dall'inizio. I pazienti possono vedere la relazione tra gli elementi appena descritti e il successo, proprio e del gruppo. 
Ascoltare le notizie implica rimanere seduti in silenzio, astenendosi dal parlare per alcuni minuti, ascoltando e prestando attenzione ai vari annunci. Poi il gruppo può discutere brevemente le notizie e ciascun partecipante essere incoraggiato ad esprimere la sua opinione o ad aggiungere ulteriori conoscenze sull'argomento. Le difficoltà a compiere le azioni richieste di rimanere seduti in silenzio, prestare attenzione, non parlare, ecc., possono essere affrontate con il paziente in questo periodo con un approccio orientato alla soluzione del problema. Poi il gruppo può iniziare a leggere i giornali. 

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Ogni paziente sceglie un articolo, lo legge a voce alta mentre gli altri seguono ciò che viene letto sui loro giornali, e lo riassume con parole sue.  Poi i contenuti dell'articolo vengono discussi dal gruppo intero. 
La funzione manifesta di questa attività è di ampliare gli orizzonti dei pazienti, di accrescere la consapevolezza di ciò che accade attorno a loro, di aiutarli ad acquisire un interesse negli avvenimenti esterni ed a sviluppare in questa maniera il loro senso di appartenere ad una collettività più ampia, un territorio ed una nazione; inoltre fornisce loro argomenti conversazione che possono usare per interagire con la gente dentro e fuori il Centro; insegna pure ad usare il giornale per ottenere vari tipi di informazioni (divertimenti, annunci economici, appartamenti, acquisti alimentari, ecc.).
Scegliere un articolo dà ai pazienti l'opportunità di imparare a prendere una decisione e scegliere fra varie possibilità, prestando attenzione a ciò che può essere già stato letto da altri partecipanti, e prendere in considerazione l'interesse di altri partecipanti, domandando loro se sono  interessati e non scegliendo, per esempio, articoli che non interessano nessuno, come gli annunci mortuari. 
Leggere a voce alta implica la capacità di leggere e di tenere in considerazione i bisogni degli altri membri del gruppo, leggendo a voce abbastanza forte e chiara così che gli altri siano in grado di capire quello che viene letto. Mentre un paziente legge gli altri ascoltano ciò che viene letto il che comporta sedere in silenzio, concentrarsi, prestare attenzione. L'operatore aiuta il paziente a sviluppare queste capacità in modo da essere grado di prendere parte alla discussione e da sapere, quando viene il suo turno, di non scegliere un articolo che è già stato letto. Il paziente avrà così l'opportunità di accorgersi che un comportamento che utilizzi queste capacità evoca un tipo di risposta diverso dagli altri. Imparerà anche che ha di più la sensazione di essere un membro di successo del gruppo e che è in grado di provare soddisfazione nell'esprimersi più di quando non utilizzava queste capacità. Riassumere un articolo con parole proprie implica l'abilità di capire quello che è stato letto, condensarlo, fare una distinzione fra l'argomento centrale ed i dettagli, ed esprimerlo in modo chiaro così che gli altri capiscano. 
Il formato del gruppo giornali offre all'operatore l'opportunità di assistere il paziente nello sviluppo di queste capacità all'interno dei processi di gruppo. Permette di aiutare il paziente a distinguere fra le sue interpretazioni di ciò che sta accadendo e l'effetto del suo comportamento sugli altri membri del gruppo. Per esempio qualora un paziente notasse che gli altri membri smettono di prestare attenzione, potrebbe aver la sensazione  di non piacere loro come persona, o potrebbe sentirsi così indegno di attenzione da pensare che sarebbe meglio per lui non venire più al gruppo. Se questo accadesse, sarebbe un rinforzo delle sue aspettative devianti riguardo se stesso e gli altri, aspettative basate sulle sue esperienze passate, e lasciare il gruppo perpetuerebbe vecchie strategie di allontanamento. 
La struttura del gruppo giornali così come è stata sviluppata permette importanti interventi in questo processo e offre l'opportunità di opporsi alla desocializzazione. Quando l'operatore nota nel paziente l'atteggiamento 

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di andarsene può, subito o più tardi, chiedergli le ragioni della sua irrequietezza o del suo desiderio di lasciare il gruppo. Se il paziente risponde che non vuole stare in un gruppo dove la gente non gli dà il rispetto che lui vuole, come dimostrato dalla loro mancanza di attenzione quando lui parla, allora le Parti Componenti incorporate nella struttura del gruppo possono essere attivate. L'operatore, per esempio, può rivolgersi ai membri del gruppo e chiedere loro circa il fenomeno che il paziente e lui stesso hanno notato, cioè la mancanza di attenzione. Questo dà al paziente l'opportunità di udire che il comportamento dei membri del gruppo era in relazione al suo modo poco chiaro di leggere, al tono basso della sua voce, o alla pronuncia indistinta. Risposte di questo tipo possono essere molto importanti per il paziente perché, forse per la prima volta, mettono sotto il suo controllo il suo impatto sull'ambiente e la reazione delle altre persone significative nei suoi riguardi. 
Tramite una discussione guidata, condotta dall'operatore e con la partecipazione degli altri membri del gruppo, la questione può essere riformulata al paziente in questo modo: gli altri non ascoltano perché non parla chiaramente e non perché non piace loro. 
L'operatore, poi, potrebbe proporre al gruppo un esperimento decisivo: vedere se quando il paziente parla più chiaramente, lentamente ecc., diventa più piacevole per gli altri ascoltarlo e/o se facilita il loro compito di prestare attenzione a quello che sta dicendo. Poi, sul momento, oppure in un'altra A.G.C.S., il paziente può essere incoraggiato a parlare più chiaramente, ad apprendere i C.S.C. di una comunicazione chiara e succinta. Questo nuovo comportamento verrà poi presentato nel gruppo e, con l'aiuto dell'operatore, il gruppo valuterà le conseguenze sulla loro attenzione della sua nuova prestazione. Questo feedback immediato ribalta l'impotenza del paziente, nel senso che sviluppando una nuova competenza sociale egli è in grado di controllare la risposta degli altri attorno a lui. 
Successivamente alla lettura e all'attivazione delle Parti Componenti appropriate c'è la discussione dell'articolo; ciò implica formarsi un'opinione, esprimerla chiaramente, rimanere aderenti all'argomento, ascoltare quello che viene detto senza interrompere, mantenere la propria convinzione anche se gli altri non sono d'accordo o cambiarla quando è appropriato, imparare a distinguere fra non essere d'accordo riguardo un'idea e rifiutare uno come persona, imparare a fare negoziazioni e' compromessi, a risolvere conflitti, a concordare che si è in disaccordo, imparare a far domande, a dare informazioni, a scambiarsi idee, ad entrare in una discussione ecc. 
Tutte queste competenze sono importanti non solamente per le discussioni sulla politica o sull'attualità, ma per qualsiasi conversazione e qualsiasi relazione umana, che pure comporta il compromesso, il negoziato, la presentazione di un punto di vista e la soluzione di problemi. Questa attività, il gruppo giornali, può essere usata per sviluppare queste capacità così che i pazienti possano usarle nelle aree del loro spazio vitale al di fuori del setting terapeutico. 

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Questo era il caso, per esempio, di Q., una giovane donna sui trent'anni che viveva con i genitori, con i quali non andava per nulla d'accordo.  Lei era solita trattare ogni conflitto con loro urlando: non sapeva assolutamente ascoltare il loro punto di vista, né asserire il proprio, né negoziare le differenze. Non aveva neppure amici, più o meno per le stesse ragioni. 
Il gruppo giornali venne usato, fra altre A.G.C.S., per mostrare a Q. i vantaggi di ascoltare, negoziare, fare compromessi e risolvere conflitti maniera più competente. L'esercizio di queste capacità venne anche generalizzato alle aree dello spazio vitale dei compagni e del lavoro. Q. non sapeva come fare domande. Quando non sapeva qualcosa, di solito non  domandava, aveva paura di mostrare la sua ignoranza e, quando domandava, era solita agire in modo molto aggressivo, mettendo l'altra persona immediatamente sulla difensiva. Quando le veniva fatta una domanda rispondeva in modo altezzoso. Q. usò questa attività per imparare l'utilità di far domande per avere informazioni, e a chiedere e rispondere in modo piacevole e tale da non allontanare gli altri. Una volta che ebbe acquisito queste capacità, venne aiutata a metterle in pratica nella sua relazione con i genitori, a casa sua. 
Con altri pazienti questa attività può essere usata per aumentare loro autostima, mostrando loro che hanno molte cose da offrire, che hanno conoscenze ed opinioni che interessano gli altri. È possibile dare ad un paziente, che ne abbia la competenza, il compito di preparare un argomento da presentare al resto del gruppo nella riunione successiva. Il gruppo diventa dunque il setting dove il paziente riceve conferma del valore dei suoi interessi, ed offre l'opportunità di apprendere a presentare le proprie idee e interessi in pubblico in maniera riuscita ed efficace.

Gruppo di Livello Inferiore: questo gruppo è composto di pazienti che richiedono molta più attenzione ed aiuto da parte dell'operatore per funzionare efficacemente, pazienti che non sanno esprimersi verbalmente e che necessitano delle capacità fondamentali per partecipare a qualsiasi conversazione. 
Molti di questi pazienti devono imparare a star seduti almeno un pò,  cosa che per loro è molto difficile. È possibile aiutarli in questo facendoli partecipare all'attività dapprima per pochi minuti soltanto e centrando loro partecipazione su di una attività strumentale, come fare un annuncio attinente al gruppo, preparato prima con l'aiuto dell'operatore. Per alcuni pazienti questa potrebbe essere la prima attività pertinente e riuscita dopo anni. Mano a mano che il paziente accumula queste esperienze di  successo la sua permanenza nel gruppo può essere gradualmente aumentata. È anche possibile introdurre compiti strumentali in questa attività essenzialmente sociale per offrire a quei pazienti che hanno difficoltà a rimanere seduti per lunghi periodi di tempo l'opportunità di un pò di attività motoria senza che ciò comporti l'abbandono del gruppo con senso di fallimento. 

Per esempio un paziente che ha bisogno di questo tipo di intervallo 

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motorio può ricevere il compito di uscire a metà per andare a prendere delle bevande per tutti. È anche possibile usare compiti strumentali come prendere appunti, scrivere riassunti di ciò che viene letto o delle spiegazioni date, per aiutare il paziente a concentrarsi sull'interazione verbale facilitando la concentrazione con un'attività strumentale. 
Anche se questo gruppo sarà probabilmente strutturato più o meno come il gruppo di livello superiore si troverà che molti pazienti del gruppo hanno bisogno di iniziare il gruppo con un compito strumentale per organizzarsi. Ad ogni paziente può essere assegnato un compito che lo aiuti ad entrare nella stanza e a sistemarsi. Un paziente può pulire la tavola, un altro portare i posacenere, un altro un mappamondo, un altro blocchi per appunti e penne, ecc. Poi si può chiedere a ciascun paziente se ha sentito le notizie quella mattina o se la sera precedente ha guardato la televisione. Ogni paziente quindi racconta quello che ha sentito e che ricorda. Ascoltare le notizie a casa propria e raccontarle al gruppo è un compito che può essere ruotato fra tutti i pazienti per incoraggiarli ad effettuare questa attività a casa propria. 
Mentre un paziente racconta ci si aspetta che gli altri ascoltino senza interrompere anche se hanno qualcosa da dire. Molto spesso i pazienti più desocializzati interrompono in quello che sembra un modo brusco, senza considerazione per gli altri, perché temono di dimenticare quello che vogliono dire se aspettano; spesso le loro passate esperienze di rifiuto hanno anche aumentato l'aspettativa che se non lo dicono adesso non ne avranno l'opportunità più tardi. Tali pazienti del gruppo possono essere incoraggiati a prendere appunti di quello che vogliono dire e si può incorporare nel gruppo una parte componente che dia a ciascun paziente l'occasione di fare un commento subito dopo l'esposizione. Oppure i pazienti che in quel momento non possono attendere possono essere incoraggiati ad imo parare ad interrompere in modo appropriato, chiedendone il permesso. 
Poi ogni paziente, a turno, sceglie un articolo (di solito basta un titolo, un sottotitolo o un capoverso tratto da un articolo), lo legge e lo riassume. Questo richiede spesso una preparazione preliminare: il, paziente ripassa l'articolo insieme all'operatore prima della riunione del gruppo giornali, leggendolo insieme così che la lettura durante il gruppo sia una esperienza di successo. 
La discussione dell'articolo è molto più strutturata di quella del gruppo di livello superiore. Primo, ogni parola difficile viene chiarita; questo fornisce l'opportunità di imparare che è possibile chiarire le cose che non si comprendono, senza vergognarsene (ricordare l'esempio di Q.).  Il paziente imparerà come ottenere informazioni utilizzando i dizionari del gruppo, semplici enciclopedie, carte geografiche, atlanti ecc., talora venendo a conoscenza della loro esistenza per la prima volta, ed imparando come usarli. Poi ogni paziente, a turno, esprime un'opinione. Dal momento che molti membri di questo gruppo non sono molto verbali è possibile usare la Tecnica di Rimotivazione, per mezzo della quale ogni paziente a turno ha l'opportunità di esprimere un'opinione, sa quando sarà il suo turno e sa che seppure non dice niente quella volta il suo turno tornerà ancora. 
Anche riassumere ciò che è stato letto richiede molta più preparazione 

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che nel gruppo di livello superiore: questo era il caso di O., un uomo di circa 40 anni il quale quando aveva finito di leggere un articolo era solito iniziare un monologo di cinque minuti, saltando da un argomento all'alto, e così incoerentemente che era impossibile capirlo. Fu prima necessario aiutarlo a capire ciò che aveva letto, ad organizzarlo e poi formularlo in modo chiaro. Per fare questo veniva aiutato dall'operatore a capire ciò che aveva letto tramite un cartellone sul quale erano scritte le cinque particelle interrogative (a proposito di Chi hai letto, Che Cosa ha fatto o detto, Dove è avvenuto, Quando è avvenuto, Perché è importante). Il membro veniva poi aiutato a riassumere la sua lettura in frasi concise usando questo schema di strutturazione cognitiva. 
All'inizio era necessario passare attraverso l'intero procedimento con O., ma gradualmente fu necessario solo indirizzarlo a compierlo da solo. Quando O. ebbe esperienze di successo nel gruppo, utilizzando questa nuova forma di strutturazione cognitiva, venne anche guidato ad utilizzare stesso procedimento nelle sue interazioni al di fuori del gruppo giornali,  dove pure le sue conversazioni consistevano in monologhi incoerenti, con il prevedibile fallimento che ne seguiva. 
Gli ultimi cinque minuti dell'attività sono dedicati ad una riunione di valutazione nella quale i pazienti discutono se i contenuti sono stati interessanti, se hanno imparato qualcosa di nuovo e se è sorto qualche problema particolare. La discussione verte non solo sui contenuti degli articoli, ma anche sull'interazione e si effettua una revisione di come i problemi sono stati risolti. Avere una tale riunione di valutazione alla fine permette all'operatore di non doversi occupare di un problema sul momento con il rischio di disorganizzare la discussione in corso, ma di rinviarne trattazione a questa fase del gruppo. Permette anche di sollevare questioni in un contesto più generale, diluendo i commenti critici che potrebbero essere male accolti da particolari membri del gruppo. Per esempio se, mentre un paziente stava leggendo, altri si sono addormentati o parlavano tra loro, se ne può discutere nella riunione di valutazione, mostrando pazienti quali conseguenze ha avuto il loro comportamento, sia per chi leggeva (che potrebbe aver avuto la sensazione che qualcuno non era interessato), che per coloro che si erano addormentati o non avevano prestato  attenzione (e che dopo non erano in grado di partecipare alla discussione).  Durante questo periodo, inoltre, l'operatore può riassumere gli interventi effettuati, valutandoli assieme ai pazienti ed orientando il gruppo verso i compiti per la riunione successiva. 
Alla fine della riunione di valutazione, per strutturare il processo commiato, ogni paziente può essere incaricato di diversi compiti di sistemazione: mettere le cose al loro posto, vuotare i posacenere ecc. 
Questo gruppo può anche riunirsi al di fuori della riunione del gruppo giornali. Possono fare una gita assieme in un posto specifico menzionato nel giornale, come un museo, un festival, o una zona della città, che interessi tutti quanti. Questo espediente avvicina le notizie di attualità e conferisce al gruppo un aspetto funzionale: conoscere il mondo e l'ambiente in astratto, attraverso la lettura del giornale, può prestarsi ad attività altre aree dello spazio vitale. 



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CAP. 3.   LE DIMENSIONI SOCIO-INTERAZIONALI DELLA RISOCIALIZZAZIONE E LE DIMENSIONI STRUTTURALI DELL'ORGANIZZAZIONE DEL COMPORTAMENTO 

L'approccio della Competenza Sociale alla riabilitazione, come è stato presentato qui, sottolinea il fatto che le persone con seri problemi nell'esistenza e che hanno lunghe storie di fallimenti personali e sociali subiscono molte esperienze di allontanamento dagli altri ed una graduale restrizione dei loro ambienti fisici e sociali. Essi e le altre persone significative raggiungono un semi-equilibrio nella loro relazione reciproca, caratterizzato dal loro mutuo allontanamento e dalla stabilizzazione del paziente in un ruolo disfunzionale nel suo spazio vitale sociale. La sua articolazione sociale con l'ambiente è minima, secondo le norme sociali correnti, o, nella migliore delle ipotesi, è estremamente diminuita. Questo processo e le sue conseguenze sono descritte nel capitolo 1. 
Gli obiettivi della Riabilitazione Sociale, come descritti nel capitolo 2., consistono nella acquisizione da parte del paziente di comportamenti socialmente competenti che gli permettano di cimentarsi con successo ed efficacia nelle aree del suo spazio vitale.
Il mezzo per realizzare questi obiettivi è la risocializzazione del paziente. La risocializzazione viene realizzata per mezzo dell'interazione operatori-paziente. Il contesto di queste interazioni risocializzanti, per essere efficace al massimo, dovrebbe essere realizzato in un ambiente che favorisca lo sviluppo di comportamento organizzato. 
Il presente capitolo descriverà questi due insiemi di dimensioni (quelle relative all'integrazione e quelle relative alla struttura) e ne delineerà l'importanza per il processo terapeutico. 

3.1. Le dimensioni socio-interazionali della risocializzazione. 

Come discusso nel capitolo 1. la desocializzazione può essere definita come la riduzione della articolazione sociale dell'individuo derivante dal distacco, parziale o completo, dell'individuo dalla partecipazione alle attività della comunità sociale estesa. Vi sono diversi fattori importanti della desocializzazione: 

la segregazione: l'allontanamento dell'individuo dalla collettività ad opera degli altri; 

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l'isolamento: l'allontanamento deLl'individuo dal suo ambiente umano causa dei suoi stessi sforzi; 

compromissione della capacità di assumere ruoli-sociali;

deterioramento dell'autogiudizio: graduale declino della abilità dell'indviduo di giudicare le proprie azioni ed interpretazioni secondo norme sociali correnti; 

declino della comunicazione sociale

compromissione del comportamento verbale: in relazione alle ridotte opportunità di comunicare, con il risultato di una crescente inefficacia  dell'eloquio per mancanza di competenza; 

ridotta utilizzazione del consenso o validazione sociale: l'individuo perde l'abilità di giudicare la sua interpretazione del comportamento delle aspettative propri e altrui, cessando di scambiare la sua prospettiva con gli altri; 

perdita delle capacità sociali per disuso;

evitamento emotivo ed avversione nei confronti degli altri;

 non-recettività verso le opinioni ed aspettative degli altri.

Il processo di allontanamento reciproco descritto nel capitolo 1. si risolve e nella segregazione del paziente da parte degli altri e nello sviluppo di comportamento di isolamento da parte del paziente. La sua crescente desocializzazione, derivante da un crescente distacco dalla partecipazione alle attività della comunità sociale, allarga ed approfondisce i fattori questo distacco. 
Un altro modo di considerare i fattori sopra citati è quello di vedere che comportano la perdita di competenze sociali generali e specifiche. Ogni volta che vengono fatti degli sforzi per intervenire con l'individuo la perdita di queste competenze aumenta la probabilità che gli attori  falliscano nel loro intento: l'interazione reciproca. 
L'osservazione più frequente del personale, o di altri che tentano interagire con pazienti molto desocializzati, è che il paziente non è recepivo verso di loro ma che anzi cerca di evitare di interagire con loro: si  tratta dei due ultimi fattori citati sopra. Ciò che viene molto spesso trascurato è che il paziente ha perso o abbandonato quelle capacità o attributi  del processo della comunicazione umana che rende la comunicazione e 

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la recettività possibili o riuscite; e che la lunga storia di fallimento personale e sociale con i relativi rifiuti e ferite motivano il paziente a mantenere il suo isolamento sociale proprio tramite i meccanismi di non-recettività ed evitamento. Per quanto perda del potenziale che la collettività ha da offrire, guadagna di più ad essere lasciato in pace, o immerso nelle sue fantasie, o almeno ad essere protetto da ulteriori fallimenti e dalle conseguenze delle sue in competenze nelle relazioni con gli altri. 
L'uso del termine risocializzazione implica la necessità di contrapporsi al processo della desocializzazione. Perciò si devono progettare interazioni e situazioni tali da aumentare l'articolazione sociale dell'individuo. Egli deve essere inserito in attività che rispecchino gradualmente le attività, sia fisiche che sociali, della collettività e gli interventi devono essere disegnati in modo da neutralizzare lo sforzo del paziente di isolarsi e da invertire i fattori della desocializzazione. Per esempio, se l'individuo ha compromesse le capacità di assumersi ruoli sociali, bisogna progettare degli interventi che procurino le opportunità di assumersi con successo ruoli sociali e strumentali; se c'è una compromissione del comportamento verbale per disuso, allora bisogna progettare situazioni e interazioni che provvedano le opportunità di comunicare socialmente con successo attraverso l'uso del linguaggio. 
Forse la cosa più importante, l'inizio di questo procedimento di intervento, sta nel disegnare interazioni interpersonali che neutralizzino i fattori di evitamento delle reazioni umane e la non-recettività del paziente verso gli altri. Infatti se il paziente mantiene queste forme di comportamento diventa difficile, se non impossibile, interagire con lui in modi che neutralizzino gli altri fattori. 
Il paragrafo successivo descrive un insieme di dimensioni che comprendono interazioni risocializzanti fra pazienti desocializzati e personale e che si postula antagonizzino i fattori della desocializzazione. 

1.) Supporto 

La dimensione del supporto comprende le interazioni operatore-paziente che comunichino al paziente che l'operatore è consapevole delle grandi difficoltà del paziente nell'entrare e nel partecipare in una relazione umana con lui. Se teniamo presente le lunghe storie di fallimento e la mancanza delle competenze sociali che caratterizzano tali individui, i molti fallimenti in situazioni terapeutiche, il pessimismo del paziente circa un altro tentativo e le ricompense che ha ottenuto grazie alla sua stabilizzazione 


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in un ruolo non-recettivo di fronte agli altri, allora diventa assai  pertinente comunicare al paziente con le parole e con i fatti, e con empatia, il seguente messaggio: se noi fossimo nella sua posizione, con la sua storia saremmo anche noi non-recettivi e spaventati come lui in una situazione che implica esattamente quei tipi odi interazioni nelle quali ha fallito tante volte in passato. 
Interazioni di supporto sono quelle che comunicano al paziente che il personale accetta il paziente così come è, con tutto il suo negativismo, le sue reazioni di evitamento e la non-recettività; che i comportamenti del paziente sono significativi e tenuti in considerazione; e che per queste ragioni la situazione terapeutica presente è proprio il posto giusto per lui così come è. Implica anche che il personale comunichi al paziente che non sarà messo di fronte a compiti sia strumentali che sociali che conducano fallimento interpersonale; che da parte del personale non si creeranno aspettative tali da essere frustrate dal comportamento del paziente. 
Ricapitolando: la dimensione supporto si riferisce ad accettare il paziente così come è, a comunicargli che si ammette che egli si senta pessimista e senza speranza, e che queste sensazioni, e il comportamento che le esprime, sono comprensibili in forza della sua storia passata; che l'operatore si sentirebbe probabilmente allo stesso modo se avesse avuto esperienze e precedenti simili; e che non gli saranno poste richieste, nè  ci saranno nei suoi confronti aspettative, che possano portare a fallire nel rapporto interpersonale. 

2.) Permissività per l'Espressione di Comportamento Deviante 

Questa dimensione presuppone che gli standard di comportamento e di successo dell'interazione nel setting riabilitativo siano meno esigenti quanto il paziente non sia abituato ad incontrare nella collettività. Fatte salve le norme generali di salvaguardia contro danni, i comportamenti del paziente, se non costituiscono u minaccia eccessiva, sono bene accetti nella situazione interattiva per il motivo che qui l'operatore sta insieme al paziente, comunque egli si comporti, perché vuole stare con lui. Comportamenti bizzarri, aspetto trasandato, vestiti frusti, non violano norme che prevedono l'interruzione della situazione interattiva. 
Queste due dimensioni sono destinate ad antagonizzare l'evitamento emotivo degli altri e la non-recettività tramite l'accettazione del paziente così come è, senza comportare richieste di comportamento che il paziente non vuole o non può produrre. Per quanto il paziente possa dimostrare comportamento desacralizzato allo scopo di tenere l'operatore lontano da lui, 

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o abbia l'aspettativa che la sua mancanza' di competenze sociali farà sì che egli venga rifiutato, tutto questo non accade. Il paziente è trattato con rispetto e in modo da avvicinarlo, anche in assenza di comportamenti socializzati e competenti. Ciò antagonizza gli effetti delle sue esperienze passate, dove mostrare esattamente questo stesso comportamento portava a risposte di allontanamento e punitive da parte degli altri. 
Se però queste due 'dimensioni esaurissero tutta l'interazione paziente-operatore, il risultato sarebbe, naturalmente, la perpetuazione del comportamento desocializzato. Le due dimensioni seguenti stanno alle prime due come l'altra faccia della medaglia. Hanno lo scopo di comunicare al paziente che sebbene gli operatori e l'organizzazione terapeutica accettino il paziente nelle condizioni in cui si trova, e hanno piacere,di essere in sua compagnia, le sue condizioni non sono le migliori fra tutte quelle possibili ed egli si trova lì con loro al fine di cambiare. Questo messaggio non viene comunicato con tutte queste parole, naturalmente. 

3.) Non confermare le Aspettative Devianti 

In generale, dopo una lunga storia di esperienze di fallimento che portano al rifiuto, alla segregazione, all'isolamento, all'allontanamento reciproco e alla cessazione della comunicazione sociale, il paziente ha alcune aspettative riguardo l'interazione umana che, sfortunatamente, sono assolutamente esatte, in quanto derivano dalla sua esperienza diretta. Stando alle aspettative maturate nell'ambiente da cui egli proviene, agire in un contesto normativo porta al fallimento, che a sua volta porta o al rifiuto o a una punizione più manifesta. 
Questa dimensione asserisce che tali aspettative non dovrebbero essere confermate dagli altri e che le aspettative o di fallimento o di punizione sono aspettative devianti che vanno frenate nel contesto interattivo dell'ambiente risocializzante. 
Un comportamento che si incontra comunemente nel paziente desocializeato è l'atteggiamento di rifiuto verso i tentativi di occuparlo in una attività assieme all'operatore. Se questo si ripete per abbastanza volte il paziente viene di solito rifiutato e lasciato in pace o punito in modo più aperto. In entrambi i casi il paziente è riuscito a rinforzare una quantità di sue aspettative sulle conseguenze dell'interazione con gli altri. Fallendo fa sì che gli altri lo lascino in pace; se gli altri lo puniscono per il suo comportamento ciò conferma la necessità dì rendersi impenetrabile ai loro tentativi di intervento tramite il ritiro, la rigidità e la non-recettività. 


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Al contrario, immaginate la seguente situazione: 

Il paziente e l'operatore sono seduti ad un tavolo, uno di fronte all'altro l'operatore è occupato a piegare i tovaglioli di carta per il pranzo. L'operatore chiede al paziente di aiutarlo. Il paziente, appoggiato al tavolo con il braccio, o risponde di no, o non risponde affatto. L'operatore allora, delicatamente, solleva la mano del paziente, che si trova sulla tavola, e la posa su di una pila di tovaglioli di carta piegati e dice al paziente: « Grazie per aiutarmi a tenere i tovaglioli di carta ed impedire che volino via con l'aria » In questa situazione è improbabile che il paziente, se ha una buona relazione con l'operatore, si opponga a questa semplice azione di alzare leggermente e muovere la sua mano. Se si oppone, allora l'operatore potrebbe desistere dall'interazione fisica e semplicemente continuare a parlargli, mentre seguita a piegare i tovaglioli. Al completamento del compito l'operatore potrebbe dire al paziente: « Grazie per aver facilitato il mio compito tenendomi compagnia mentre lavoravo. È stato più piacevole per me dal momento che tu eri qui ».

In entrambi i casi una quantità di aspettative del paziente non sono state confermate dalle azioni e dalle parole dell'operatore. Se il paziente non reagiva aderendo alla richiesta di assistenza e di partecipazione avanzata dall'operatore poiché aveva paura di fallire, l'operatore gli segnalava che qualsiasi azione sarebbe stata 'un successo, anche il non rispondere. Ii compito di piegare tovaglioli va molto bene perché ha un inizio, uno sviluppo ed una fine, e qualsiasi tipo di piegatura può essere inizialmente tradotto in una risposta positiva. Se il paziente aveva l'aspettativa che non rispondendo all'operatore sarebbe stato lasciato stare, questa aspettativa non è stata confermata dall'azione di prendergli la mano ed usarla per tenere fermi i tovaglioli. Se il paziente avesse rifiutato anche questo ed avesse avuto l'aspettativa che sarebbe stato punito, l'operatore non avrebbe confermato neanche questa; invece avrebbe riformulato il ritiro del paziente e lo avrebbe ringraziato per avergli tenuto compagnia. 

In questa situazione, come pure in altre, l'attività, il gruppo, serve solo come setting nel quale paziente ed operatore possono interagire per sviluppare comportamenti più socializzati; in questo caso si trattava dell'esperienza di proseguire una interazione con un'altra persona significativa anche nel caso che il paziente non sia recettivo. In questo modo le aspettative che il paziente porta con sé da altri ambienti diventano aspettative devianti nel setting terapeutico in ragione del fatto che l'operatore  non le conferma. 

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4.) Impiego Selettivo delle Ricompense 

Questa dimensione apparentemente semplice asserisce che i comportamenti socializzati vanno ricompensati e i comportamenti desocializzati no. Ciò che rende l'applicazione di questa dimensione urna questione spinosa in molti casi è che è spesso molto difficile, con pazienti seriamente desocializzati, scoprire che cosa può costituire una ricompensa. Individui che hanno vissuto in isolamento e che sono stati impotenti per lunghi periodi di tempo spesso presuppongono l'impotenza anche quando la situazione cambia. Perciò pazienti che per lungo tempo non sono stati capaci di influire sul proprio destino per mezzo di reazioni adeguate spesso non agiscono per ottenere ricompense anche quando le loro azioni sono adeguate per conseguìre ricompense. In aggiunta, nel corso di lunghi periodi caratterizzati da isolamento e avversione alle relazioni umane, per molti individui, le ricompense 'comuni, hanno perso la loro attrattiva. 

Individui che non hanno fatto 'acquisti per lunghi periodi di tempo, e che non sono abbastanza competenti per soddisfare i loro bisogni con il guadagno, 'spesso perdono i comportamenti del consumatore, specialmente se sono stati in un ospedaledove veniva fornito tutto; oppure il loro comportamento da consumatore è rigidamente Iìmìtato 'a cose come sigarette e bibite. Ahri individui che si sono ritirati dagli altri spesso non rispondono ai sorrisi e agli elogi. Di fatti uno dei compiti importanti nel lavoro di risocializzazione è spesso quello di sviluppare relazioni intense e significative con i pazienti così che le relazioni umane e gli oggetti materiali ritornino 
nuovamente a costituire delle ricompense ai loro occhi. 
Come nel caso delle prime due dimensioni queste altre due, se esaurissero tutta l'interazione, servirebbero a perpetuare la desocializzazione del paziente. Queste due dimensioni da sole impongono l'aspettativa che il mondo non è esattamente come il paziente lo percepisce, che sono possibili risposte diverse da quelle che dà di solito e che sarà ricambiato in modo differenziato a seconda delle risposte che dà. 
I due insiemi di dimensioni implicano un importante paradosso, che dètta la seguente proposizione: un intervento socializzante è un'interazione operatore-paziente che contiene elementi di tutte e quattro le dimensioni simultaneamente. Le prime due dimensioni servono a mantenere l'omeostasi del paziente, che è così importante per lui dal momento che provvede protezione contro futuri fallimenti e ferite; il secondo insieme di dimensioni induce il cambiamento all'interno di questa struttura incoraggiante 

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e permissiva. Un esempio che potrebbe illustrare questo procedimenti complesso è il seguente. 
Q., un'utente del Centro già menzionata nel capitolo 2, è nota per la caratteristica di fare affermazioni dogmatiche su ciò che può e non può fare e poi, con aria di sfida, difendere la sua interpretazione anche se risulta contraddetta dalla sua stessa esperienza passata. Un giorno, improvvisamente, Q. decise di non poter più rimanere nel gruppo cucina per più di quindici minuti, nonostante vi avesse lavorato per un discreto periodo di tempo senza difficoltà. Quando gli operatori le chiesero cosa era successo e perché non poteva più, disse semplicemente: « non posso, e questo è tutto! ». Comunicò anche che se agli operatori questo non andava bene potevano cacciarla via dal Centro, e che non voleva discutere più la questione. Per lavorare con Q. su questa questione venne effettuato un insieme di interazioni che aveva le componenti seguenti: 
Supporto: venne detto a Q., in maniera diretta e calorosa, che cacciarla via dal Centro era l'ultima cosa a cui chiunque avrebbe pensato, dal momento che era un membro stimato, e che non essere in grado di lavorare nel gruppo cucina era una cosa da meditare e non da punire o criticare. 
Permissività: Q. fu lasciata andare un po' in giro, ostentando di non lavorare, mentre tutti i suoi compagni lo facevano; e quando gli altri pazienti chiesero agli operatori perché Q. non lavorava essi risposero che stava avendo delle difficoltà e che speravano che si potessero risolvere. 
Non-confermare le aspettative devianti e Ricompensa: l'operatore di Q. le suggerì che poteva aver piacere di parlare del suo problema con il Direttore del Centro (che piaceva molto a Q.), poiché questi era un riabilitatore di provata esperienza e poteva forse avere qualche idea per aiutarla. Questo suggerimento era sia non-confermare (le aspettative devianti che accordarle una ricompensa. Infatti l'operatore offriva a Q. qualcosa che le piaceva veramente invece di continuare a pungolarla riguardo tornare al lavoro e « fare uno sforzo »; e il suggerimento venne formulato nel senso di aiutarla nel suo «problema» generale di non essere capace di fare cose per più di quindici minuti per volta. 
Il direttore venne anche presentato come un esperto di riabilitazione cosa verso la quale Q. aveva una disposizione positiva, e non come un persona interessata a far proseguire a Q. il suo programma nel gruppo cucina. Come già detto questo costituiva una ricompensa perché a Q. piaceva incontrare il direttore. Q. venne salutata calorosamente dal direttore, che affermò di essere felice di vedere Q. assieme al suo operatore, rinforzando così il legame fra loro due, e di nuovo non confermando l'aspettativa provocatoria di Q. che l'unica cosa su cui il personale voleva discutere con lei  era il tornare al lavoro. L'operatore disse che aveva deciso questo colloquio assieme a Q. ed entrambi speravano che il direttore potesse usare la sua esperienza per aiutarli a risolvere il loro problema comune: scoprire cioè che cosa era successo all'abilità di Q. di lavorare per più di quindici minuti (questa fu una riaffermazione di supporto in una situazione che era ormai essenzialmente cambiata). 

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Prontamente Q. assunse il suo atteggiamento dogmatico e provocatorio quando il direttore le chiese cosa era successo e ripeté che « semplicemente non poteva Il lavorare per più di quindici minuti. Il direttore decise allora di non confermare l'aspettativa di Q. di ricevere esortazioni e si sforzo di non entrare in polemica con lei. In modo scherzoso e semi-scientifico chiese a Q. di voler provare a capire la situazione più esattamente. Q. accettò ed egli disse che gli sarebbe piaciuto saperne di più sui quindici minuti. Poteva Q. lavorare per venti minuti? Q. rispose: « No, non posso ». Per diciassette minuti? Stessa risposta. Per quindici minuti e un secondo? Davanti a questa assurdità Q. scoppiò a ridere e disse, con un mezzo sorriso, che pensava di potere o fare, ma che sarebbe stato difficile. Con questa risposta, la questione venne completamente riformulata. 
Quando Q. era stata interrogata sul perché non poteva si era limitata a dire che non poteva e non era stata in grado di dare una ragione. « Non posso Il è un'affermazione piuttosto assoluta. Ma quando disse che sarebbe stato difficile, era possibile far domande sul tipo di difficoltà. Ciò permise allora al direttore di chiedere a Q. e all'operatore di discutere ancora le difficoltà, di cercare le maniere possibili di superarle e poi di ritornare a riferirle a lui per avere il suo consiglia da « esperto Il sui loro piani. Questo, di nuovo, era non-confermare le sue aspettative ed offrirle una ricompensa, dal momento che legava più strettamente operatore e Q. in un compito comune. In questo compito Q. usava un'altra persona per farsi aiutare a risolvere un problema sociale importante invece di comportarsi in maniera dogmatica, rigida e continuare con il suo comportamento scostante; inoltre la possibilità di vedere nuovamente il direttore venne fatta dipendere dal fatto che Q. e il suo operatore avessero eseguito insieme un compito importante. 

3.2. Le dimensioni socio-strutturali dell'organizzazione del comportamento.

La disorganizzazione del comportamento può essere definita come la rottura del regolare svolgimento di una sequenza di azioni e la sua sostituzione con un comportamento frammentario', casuale e caotico. Quella seguente è un'illustrazione di questa definizione con un esempio tratto dalla vita di tutti i giorni. 
Ritorno a casa dalla spesa con le braccia cariche di sacchetti. Arrivo alla porta con le chiavi in mano, infilo le chiavi nella toppa e cerco di girarle, ma non girano. A questo punto la regolarità, l'uniformità del mio schema di comportamento, viene interrotta. Dò degli strattoni alla maniglia, dò un calcio alla porta, provo dei movimenti a caso per girare la chiave. Chiamo a voce alta mia moglie e i figli, che potrebbero essere in casa, per farmi aprire. Dato che nessuno risponde mi arrabbio e mi agito e faccio movimenti bruschi col corpo e un sacchetto cade a terra. Cerco di trattenerlo e così faccio cadere gli altri sacchetti. Quando il mio bambino più piccolo compare sulla scena incomincio a gridargli contro per non essersi trovato in casa ad aprirmi la porta prima che mi cadessero i sacchetti. 

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Poi cerco di raccogliere i sacchetti e mi ritrovo le mani appiccicaticce causa delle uova rotte; allora entro in casa per lavarmele. Ma ricordandomi di aver lasciato il gelato accenno a ritornare verso la porta, ma disturbato dalle mani appiccicaticce mi rigiro in direzione del lavandino, quindi ancor preoccupato per il gelato che si scioglie ... finisco per bloccarmi, immobile. 

I Fattori deUa Disorganizzazione del Comportamento. Frustrazione del comportamento; 

Conflitto di comportamenti; 

Eccitamento emotivo; 

Complessità situazionale; Cambiamento ambientale; 

Preoccupazione; 

Difficoltà ad assumere ruoli. 

Nelle interazioni risocializzanti è essenziale che gli attori interagiscano in condizioni che favoriscano al massimo l'attenzione che ciascuno presta all'altro, con le distrazioni ridotte al minimo. Tuttavia molti fa tori ambientali tendono a produrre disorganizzazione, a causa della struttura sociale. Questo paragrafo presenterà quattro dimensioni che possono servire da guida per strutturare l'ambiente in modo da ridurre al minimo la disorganizzazione. 

1) Integrazione 

Questa dimensione si riferisce alla coerenza della trasmissione di influenze fra il personale e i pazienti sia in senso trasversale, in un dato momento, che longitudinale, in tempi successivi. Se i pazienti ricevono messaggi contradditori da due o più operatori vengono posti in un conflitto comportamentale, uno stato che produce eccitamento emotivo o che può portare al ritiro, dal momento che rispondere alle richieste di un operatore significa non rispondere alle richieste dell'altro. 

Questo stesso fenomeno vale per i messaggi fra un paziente ed un operatore nel corso del tempo. Incoerenza fra messaggi successivi causa imprevedibilità che a sua volta crea incertezza riguardo le aspettative. La struttura di potere dell'organizzazione è anche un fattore che influenza la dimensione integrazione nel senso che linee di autorità confuse possono spesso creare frustrazione del comportamento o conflitto di comportamenti. 

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2.) Adeguamento degli obiettivi 

Questa dimensione si riferisce a quanto la struttura normativa della organizzazione di riabilitazione corrisponde a quella della società stessa. Minore la corrispondenza, maggiore la probabilità che i pazienti vengano socializzati in un sistema di norme, aspettative, valori e comportamenti che, se possono aiutarli ad essere utenti bravi e funzionanti del centro di riabilitazione, porteranno a disorganizzazione del comportamento quando i pazienti incontreranno il sistema di esigenze della società, le cui norme, aspettative e valori sono diversi da quelli imparati. 
È essenziale quindi che il sistema normativo operante nell'organizzazione di riabilitazione sia ,il più possibile isomorfico a quello della società estesa. Questo comporta un sistema modulato di porre ai pazienti richieste normative proporzionate allo sviluppo delle competenze sociali. 

Fig. 6 - Adeguamento degli obiettivi. 

 


Un'ulteriore implicazione della dimensione dell'adeguamento degli obiettivi è che il programma del centro di riabilitazione deve includere un numero crescente di attività nella società esterna mano a mano che il paziente impara nuovi C.S.C. in modo che il paziente abbia l'opportunità di esercitarli nel setting nel quale ritornerà per periodi di tempo crescenti. Questo è anche un metodo con il quale il centro di riabilitazione può verificare la validità del suo programma di trattamento. Ricordare che la definizione di un C.S.C. è lo sviluppo di competenze che portino a funzionare con successo in ambiti sociali esterni al centro terapeutico. 

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3). Esecuzione di Compiti Strumentali 

Questa dimensione si riferisce al numero e alla varietà di attività del Servizio, all'interno delle quali pazienti ed operatori possano avere interazioni che portino al successo. Servizi con un repertorio striminzito di attività saranno in grado di soddisfare i bisogni individuali dei pazienti in grado molto minore di Servizi la cui gamma di attività è così varia e complessa che, a seconda dei bisogni del paziente di compiti semplici o più complicati, offre l'opportunità di sviluppare un gran numero di C.S.C.

4). Espressione delle Emozioni 

Questa dimensione si riferisce alla soglia di tolleranza che esiste nel centro di riabilitazione per la minaccia ambientale posta dal comportamento del paziente. Una soglia troppo bassa porta a sopprimere l'espressione dell'emotività attraverso meccanismi quali l'impiego pesante di farmaci, cacciando i pazienti per comportamento inaccettabile, l'uso di punizioni etc. La soppressione dell'espressione dell'emotività porta a frustrazione del comportamento, preoccupazione ed eccitamento emotivo. D'altro canto una soglia troppo alta porta ad eccitamento e complessità situazionale ed è motivo di distrazione per pazienti disorganizzati come sono quelli con cui gli operatori stanno lavorando. 

Il livello ottimale dipende dalle abilità del personale a trattare con l'espressione delle emozioni e dal numero di modalità che ha di impegnare il paziente senza sconvolgere il programma. Per esempio: se un paziente inizia a gridare e il personale non ha le capacità relazionali di riorganizarlo prima che il programma o il paziente arrivino ad una crisi, allora il personale dovrà usare interventi di emergenza nell'interesse del mantenimento del sistema. Se il personale ha relazioni strette con i pazienti, se ha le tecniche relazionali per ridurre la complessità situazionale, l'abilità di parlare tranquillamente con i pazienti al di fuori della zona principale di attività così che altri pazienti non vengano contagiati dall'eccitamento emotivo, e se i pazienti si sentono sicuri con il personale, allora può essere permessa una maggiore espressione delle emozioni. 

 SUMMARY 
This article addresses itself to de development of the basic skills for a community-based treatment of chronic psychiatric patients, an issue of great importance in Italy today. In fact, the Mental Health Reform of 1978, prohibiting admissions to mental hospitals, accompanied by the release of many patients into the community, has increased the need for a systematic rehabilitation program to help them to function more successfully and effectively in the community. Traditional ways of conceptualizing the «chronic schizophrenic patient» are seen as ineffective because they tell little or nothing about the client's level of functioning; they do not provide relevant information about the reasons why he/she is in treatment; they provide little information about the goals of treatment or the ways to effectively encounter the client in a change situation. In this article the chronic mental patient is characterized as an individual with serious problems in living and as one who has had a long continuous history of personal and social failures. These characteristics are associated with conflict, stigmatization, isolation within the community, eventually removal from the community and incarceration in the mental hospital and, over time, gradual distancing and mutual withdrawal of the patient and those around him. 
Chapter 1 describes the pathways of desocialization and the vicious spiral process into cohronic stabilization. Rehabilitation interventions must take the form of socially competent clinical actions which will reverse the pathways of desocialization; by developing social competences they will help the client to cope affectively and successfully in the environment outside the treatment situation. These rehabilitation actions must occur in behaviorally organizing environments that are created to enhance the resocialization process. 
Chapter 2 describes a functional alternative to the traditional diagnostic classification in determining a diagnosis. The format and development of the social competency handicap diagnosis profile is outlined. In this procedure the client behaviors are characterized by the degree to which they provide a basis for competente functioning according to current social norms. The goal of rehabilitation is the development of those social competences lacking in the client behavioral repertoire that are necessary for appropriate and adequate social functioning. 
Chapter 3 describes the social interaction dimensions of resocialization and social structural dimensions of behavior organization. The goal of social rehabilitaion is conceptualized as developing social competences which provide for successful and effective coping with demands of the larger community. Unlike many other methods, this model stresses the importance of the development of personal relationships between patients and rehabilitation staff. The means of developing social competences is through the interaction of the patient with staff members. Four socializing dimensions of interaction are described which are designed to promote contact with desocialized patients. Socializing interactions occur in a social structural context.

 


Ringraziamenti: si ringrazia il prof. Piero Benassi per il suo prezioso interessamento e la generosa disponibilità; la dott.ssa Roberta Siani per gli utili consigli in sede di revisione del manoscritto della traduzione; tutti membri dell'Equipe Territoriale di Borgo Roma per l'interesse e il supporto; il dottor Piero Novelli per i negativi delle figure. 

Computer grafica: L. Burti; testo in Wordstar 3.30.